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“I sussidi non sono per noi ma per i cittadini” #finsubito prestito immediato


“I sussidi non sono per noi ma per i cittadini che così possono permettersi di comprare le nostre vetture”. Questa una delle prime frasi dell’assurda audizione dell’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, avvenuta ieri da parte della X Commissione Attività produttive della Camera e della IX Commissione Industria del Senato, riunite nella Sala del Mappamondo di Montecitorio. 

Calo di produzione, calo di occupati, delocalizzazione con auto prodotte in tutto il mondo tranne che in Italia: 12.000 posti di lavoro persi negli ultimi tre anni, nei primi 9 mesi del 2024 -31,7% di veicoli prodotti, da inizio anno il titolo in borsa ha perso quasi la metà del valore. Tutto è in calo tranne lo stipendio di Tavares (36 milioni l’anno) e i benefit generosi che il Ceo elargisce ai manager. I parlamentari non hanno risparmiato critiche, mettendo in luce come l’azienda non abbia un piano industriale e come le promesse fatte a gennaio 2024 non siano state mantenute. Ricordiamo che il gruppo Stellantis ha goduto di una garanzia del 90% del prestito di 6,3 miliardi per aumentare la produzione in Italia, un milione di auto avrebbero dovuto essere prodotte, peccato che la produzione continui a crescere in Marocco e Polonia. 

Le parole di Tavares si scontrano con la realtà

La risposta di Tavares è che in Aula vede “livore, come negli operai”, per poi ribadire che il problema non è Stellantis ma il mercato in difficoltà, caratterizzato dall’impegnativa transizione elettrica (parte di quell’ideologia green sostenuta dalla sinistra italiana ed europea che Fratelli d’Italia ha sempre osteggiato, avvisando sulle possibili conseguenze), della pesante pressione che subisce l’intera filiera, dai componenti ai dealer, per una tecnologia, il powertrain elettrico, che costa ai produttori europei il 40% in più. Tutto questo è aggravato, continua Tavares, dal costo dell’energia, più alto in Italia rispetto agli altri paesi europei, dal costo del lavoro e della manodopera. 

Parole che si scontrano con la realtà evidenziata dal senatore di Fratelli d’Italia, Luca De Carlo: “oltre un milione di veicoli prodotti nel 2017 contro gli 817 mila nel 2023; per i primi nove mesi del 2024 parliamo di 387.600 unità contro le 567.525 dello stesso periodo dell’anno precedente. Ci preoccupano poi i livelli occupazionali: 11.500 i lavoratori usciti in 10 anni, 3800 le ulteriori uscite incentivate nel 2024 e 3000 contratti di somministrazione non rinnovati nel giugno di quest’anno. Stellantis ha ridotto i volumi complessivi anche per quanto riguarda i modelli avvantaggiati dall’ecobonus e la quota di mercato italiana in dodici mesi ha perso due punti percentuali, passando dal 33,2% al 31,2%”, sottolinea De Carlo. “In più, non capiamo quale sia il piano di Stellantis per arrivare nel 2035 all’azzeramento della sua impronta di CO2, come previsto dalle vigenti norme europee. Norma che prevede multe salate per i costruttori, e non vorremmo che la posizione di Stellantis, isolata nel panorama europeo, nascondesse una volontà di dismettere la produzione europea o – peggio – puntasse ad una sostituzione di mezzi e componenti arrivati dalla Cina”. In questo senso, si cita il paradosso che si sta vivendo in questi giorni a Mirafiori, con gli operai “richiamati dalla cassa integrazione per certificare le vetture cinesi e assicurarne così l’accesso ai canali di vendita europei”, evidenzia ancora De Carlo. “Da un lato si mette a rischio la vocazione produttiva dello storico sito piemontese, dall’altro lo si mortifica riducendolo a un centro di distribuzione di veicoli prodotti all’estero. Non capiamo nemmeno il rinvio dei progetti di Termoli e di Kaiserslautern per la produzione di batterie destinate alle auto elettriche, a meno che non si pensi di far arrivare le batterie da mercati extra europei”. Dure le critiche delle opposizioni, in particolare di Calenda che non ha risparmiato Elkann e soci per la cattiva gestione della situazione e soprattutto per le promesse non mantenute. Confermato lo sciopero del 18 ottobre indetto dai sindacati: “I motivi della mobilitazione restano in piedi”.  

Tavares lascerà la sua carica nel 2026 ma già da ora possiamo dire che ha compiuto qualcosa di storico: mettere d’accordo maggioranza, opposizione e sindacati.