“Era la mia scorta per il lockdown”, ma le continue telefonate anche quando si trovava in caserma perché arrestato non depongono per la tesi del consumo personale. Così la Corte d’appello, riformando la sentenza di assoluzione in primo grado, ha condannato l’uomo a 6 mesi di reclusione e 1.200 euro di multa.
L’imputato era stato trovato in possesso di 15,8 grammi di eroina, pari a 236 dosi medie. Nel corso della perquisizione le forze dell’ordine avevano rinvenuto anche “un bilancino di precisione, di vari pezzi di cellophane, carta stagnola e buste di plastica da cui erano stati ritagliati pezzi rotondi” per il “confezionamento di singole dosi di stupefacente in involucri termosaldati”. Tutti elementi che facevano sospettare l’attività di spaccio. Una volta portato in caserma, inoltre, l’imputato continuava a ricevere numerose telefonate “da numeri sconosciuti” e delle quali non riusciva a fornire “una spiegazione credibile”. Per le forze dell’ordine si sarebbe trattato di clienti che volevano fare “rifornimento” di stupefacente.
Per i giudici, inoltre, non era ipotizzabile che l’uomo, senza lavoro, disponesse di una somma così ingente da comperare tutta quella droga, né che qualcuno l’avesse rifornito in “conto vendita”. Assolutamente non condivisibile, infine, la tesi difensiva “dell’approvvigionamento per l’uso personale durante il periodo delle restrizioni dovute alla pandemia, essendo egli un assuntore abituale”. La Corte ha, quindi, valutato la compatibilità con l’accusa di detenzione con finalità di spaccio e conseguente condanna.
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