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La trasformazione silenziosa del Bangladesh, tra microcredito e politiche pubbliche #finsubito prestito immediato


Un tempo il Bangladesh era la metà povera del Pakistan. Dopo la secessione avvenuta nel 1970, ha superato nettamente quello che in passato era stato il suo fratello ricco. L’ascesa del Bangladesh non è certo da ricondurre alla leadership politica. Due dinastie rivali, entrambe presumibilmente corrotte, hanno tenuto ostaggio la politica nazionale di una «mentalità a somma zero». Ma le lacune della leadership sono state abbondantemente compensate da processi partiti dal basso di una forza straordinaria. 

Alcuni hanno agito a livello locale, come nelle città tedesche, mentre altri hanno creato comunità nazionali incentrate su scopi specifici. Due di queste organizzazioni civiche nazionali sono diventate famose in tutto il mondo: il fondatore della Grameen Bank, Muhammad Yunus, ha vinto il premio Nobel per la pace; e la Brac, fondata in Bangladesh ma oggi di respiro internazionale proprio come il Rotary Club, è diventata la più grande ong del mondo.

La Grameen Bank ha ideato una nuova modalità di erogazione del credito basata sulle pressioni del gruppo dei pari. Le persone che Grameen intendeva aiutare erano poverissime: non avevano beni e quindi non potevano fornire garanzie collaterali sui prestiti. Grameen ha fatto affidamento sulla sua conoscenza delle peculiarità delle comunità rurali del Bangladesh. Un membro del team Grameen andava in cerca di un gruppo di cinque donne che si conoscevano e che svolgevano attività collegate. Offriva loro la possibilità di formare un «club del prestito»: ciascuna di loro avrebbe ricevuto del denaro per espandere l’attività a un tasso d’interesse ridotto e senza bisogno di fornire garanzie collaterali. 

Per cominciare, a due delle cinque donne veniva concesso un piccolo prestito; se avessero rimborsato queste somme, tutte e cinque avrebbero ottenuto prestiti alle stesse condizioni. Il sistema creava un meccanismo in cui le altre tre donne esercitavano una pressione sociale, ed è stato talmente efficace da registrare tassi d’inadempienza praticamente trascurabili. Una volta che tutte e cinque le donne avevano ricevuto piccoli prestiti, le pressioni sociali si intensificavano. Ciascuna partecipante diventava responsabile non solo del proprio prestito, ma anche di quello delle altre quattro che fossero risultate inadempienti. Se i cinque prestiti fossero stati rimborsati, a tutte loro sarebbero stati offerti prestiti più consistenti. Dinanzi alla prospettiva di un crescente vantaggio reciproco, nessuna delle donne voleva essere l’anello debole. 

Questo semplice modello si è rivelato replicabile su vastissima scala. Sebbene i guadagni individuali fossero solitamente modesti, la microfinanza ha consentito a milioni di donne del Bangladesh di espandere piccole imprese, facendo crescere i redditi di singoli individui e di intere comunità. Benché questa splendida idea abbia funzionato bene per decenni, ora potrebbe essere superata. I prestiti basati sugli algoritmi e supportati dai big data hanno ridotto drasticamente i costi associati all’erogazione di prestiti diretti ai singoli senza la necessità di garanzie collaterali. L’incentivo a ripagare il debito è la stessa prospettiva di un aumento graduale dell’entità del prestito in base all’accumulo di reputazione. Come per i prestiti di gruppo, i benefici cumulativi sono enormi. La possibilità di contrarre prestiti senza dover fornire garanzie collaterali consente ai poveri di sopravvivere a shock negativi che altrimenti causerebbero danni irreversibili.

Brac è un acronimo che negli anni ha cambiato significato e che oggi è conosciuto semplicemente con le iniziali che compongono la sigla. Ciò che non è mai cambiato è il suo scopo primario: aiutare le donne povere. Detto questo, si tratta di un’organizzazione ibrida più unica che rara. I suoi progetti spaziano dalle operazioni di soccorso nelle zone colpite da catastrofi al sostegno a lungo termine alle microimprese. Combina interventi pratici sul campo con ricerche volte ad apprendere da una serie di esperimenti ad hoc. La ragione più verosimile del suo grande successo è l’enfasi posta sulla ricerca empirica condotta in contesti locali.

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Sono ben poche le ong che condividono questa propensione a valutare i loro stessi progetti. Gli studi controllati randomizzati ideati dalla Brac potrebbero aver raggiunto i loro limiti naturali. Nel periodo e nel luogo dell’esperimento, e potendo contare sullo stesso team che lo ha condotto, possiamo sicuramente fidarci dei risultati. Ma che questo esperimento abbia una validità esterna – ossia che funzioni anche in tempi e in luoghi diversi o con una squadra diversa – è meno certo. Alcuni team legati al ministero dell’istruzione hanno tentato di attuare una riforma educativa keniota condotta con successo dalla Brac senza riuscire a replicarne i risultati.

Inoltre, proprio quando gli economisti avevano cominciato a imparare dalla medicina a utilizzare gli studi controllati randomizzati, gli stessi medici ne hanno preso le distanze per imparare dallo studio del funzionamento dei farmaci in condizioni reali. Talvolta le condizioni degli studi controllati randomizzati si sono rivelate oltremodo artificiose. In Kenya, così come in quasi tutti i paesi, l’istruzione e l’assistenza sanitaria sono per gran parte erogate dal governo. Se quindi accade che le idee sperimentate per la prima volta con gli studi controllati randomizzati non siano trasferibili in maniera affidabile, è utile integrarle attraverso un processo più autentico: quello che vede ciascun governo locale attuare ciò che a suo avviso può funzionare e imparare gli uni dagli altri. Aggirare governi locali disfunzionali per il tramite delle ong può portare a risultati di gran lunga migliori nel breve termine, ma i governi hanno maggiori probabilità di adottare e introdurre su vasta scala nuove idee se sono stati loro (da soli o insieme ad altri) a partorirle fin dalla fase di progettazione. 

Nel complesso la Grameen e la Brac hanno contribuito a migliorare i redditi e le condizioni delle donne povere del Bangladesh. I rendimenti degli investimenti in capitale sociale all’interno delle famiglie sono stati accompagnati dal processo completamente distinto di creazione di nuovo capitale sociale tra le imprese locali. L’innesco è stato l’apprendimento rapido da un’azienda straniera: per una volta, la globalizzazione ha creato davvero un effetto domino.

Nel 1980 un produttore di t-shirt statunitense alla ricerca di manodopera a basso costo decise di tentare la sorte in Bangladesh. Alla fine del primo anno la maggior parte della manodopera locale si era licenziata, ma non a causa dei bassi salari e delle scarse condizioni di lavoro. Si erano licenziati perché avevano imparato a confezionare magliette: un processo semplice che poteva essere svolto con delle semplici macchine da cucire. Avevano inoltre capito quali rivenditori europei e nordamericani acquistavano magliette dal Bangladesh. Gli imprenditori bangladesi colsero al volo l’opportunità: dovevano disintermediarsi. Misero su le loro fabbriche racimolando capitali dai parenti e offrirono ai rivenditori stranieri la stessa qualità ma a prezzi inferiori. Come nel caso della microfinanza, l’idea si è rivelata scalabile: c’erano milioni di giovani bangladesi desiderosi di trovare un lavoro regolare e un vasto mercato globale per le magliette a basso costo.

Negli anni Venti di questo secolo l’industria dell’abbigliamento del Bangladesh, quasi interamente in mano a proprietari del luogo, dava lavoro a quattro milioni di persone ed esportava merci per trenta miliardi di dollari l’anno. Nel frattempo, la possibilità di trovare un lavoro retribuito e affidabile ha emancipato molte giovani donne. I nuovi redditi generati nel settore dell’abbigliamento e della microfinanza sono stati spesi e hanno dischiuso ulteriori opportunità imprenditoriali: ecco avviata la spirale ascendente dell’economia. 

I salari sono aumentati e la produzione di magliette si è spostata verso la manodopera più a basso costo reperibile in Madagascar. Tuttavia, grazie alla sua forza lavoro qualificata e all’affidabilità delle sue aziende l’industria del Bangladesh ha potuto risalire lo spettro della qualità, producendo capi di abbigliamento più complessi e di maggior valore. Il Bangladesh è letteralmente decollato: la povertà di massa del 1970, estrema e radicata, era ormai un ricordo del passato. 

All’inizio degli anni Venti era in procinto di raggiungere lo status di paese a reddito medio-alto. Sulle prime i politici se ne sono a malapena accorti. Ben presto, però, hanno capito che nei collegi elettorali in cui operava una fiorente azienda di abbigliamento c’erano molti elettori con un lavoratore stipendiato in famiglia. Ed è stato così che i deputati locali hanno imparato a essere solidali. A volte i nuovi imprenditori si candidavano e venivano eletti in parlamento, apportando una nuova cultura politica in un paese che fino ad allora era stato abituato alla rivalità dinastica tra proprietari terrieri.

Con l’aumento della prosperità economica, il rafforzamento del capitale sociale tra famiglie e imprese è diventato terreno fertile per salire un altro gradino della scala a chiocciola. Questa fase è cominciata con un giovane che ha pubblicato un invito simile a quello di Paul Harris. Nel 1904 il mezzo di comunicazione a disposizione era un quotidiano; nel 2018 è stato Facebook. Abir Hasan si è chiesto: «È possibile creare un piccolo gruppo di giovani uomini e donne per discutere di politiche pubbliche rilevanti per il Bangladesh?». 

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Gli echi di Harris non finiscono qui: Abir non era un rampollo della ricca élite politica, ma il prodotto sociale del nuovo ceto dedito alla gestione di piccole imprese. Né proveniva da una grande città: da bambino aveva lasciato la sua cittadina al di là del confine con l’India per raggiungere un Bangladesh che aveva appena cominciato a fiorire. Pieno di talento, è entrato in una delle migliori università del Bangladesh e ha ottenuto una borsa di studio alla Blavatnik School of Government di Oxford, dove sono stato suo docente. 

Lì si è reso conto del potenziale che le politiche pubbliche hanno di agire come forza positiva e che il cambiamento può giungere dal basso così come dall’alto. Come Harris, il sogno di Abir era fissare un nuovo obiettivo per la sua comunità, non per sé stesso: creare un clima di confronto consapevole in grado di indirizzare le politiche pubbliche. Per farlo aveva bisogno di entrare in contatto con altri giovani ben istruiti come lui. Come nel caso di Harris, l’invito di Abir è stato accolto calorosamente e ha portato alla nascita di un centro studi, lo Youth Policy Forum (Ypf). Anche Abir ha riflettuto a lungo sui protocolli da adottare: neutralità politica, cortesia reciproca e rispetto delle opinioni altrui.

 Attualmente, l’Ypf conta dodicimila membri e più di trentamila follower. Il suo mantra, «Persone, politiche, progresso», racchiude magistralmente il criterio di inclusività delle politiche pubbliche. Abir ha scoperto che un gruppo di giovani intelligenti e desiderosi di imparare attira menti più mature desiderose di trasmettere le proprie conoscenze. È venuto così a formarsi e ad operare un gruppo di illustri membri onorari: il professor Nurul Islam, decano degli economisti del Bangladesh, il dottor Hameeda Hossain, fondatore di Ain o Salish Kendra, il dottor Mashiur Rahman,consigliere economico del primo ministro, e il dottor Mohammad Tareque, ex segretario alle finanze.

Il colpo di genio è stato quello di organizzare membri e consiglieri in reti tematiche. Le persone interessate ai cambiamenti climatici o alla protezione dell’ambiente entrano a far parte dell’Environment Network, quelle interessate alla geopolitica confluiscono nel Foreign Policy Network. Esistono reti per l’istruzione, l’assistenza sanitaria, le infrastrutture energetiche, la crescita economica a favore dell’occupazione e il genere, nonché una rete composta da normali cittadini incaricata di portare queste discussioni a chi non ha il privilegio di un’istruzione universitaria. Chiunque può partecipare a confronti e dibattiti spontanei sulle piattaforme Facebook dell’associazione, mentre le discussioni più strutturate sono disponibili su YouTube. L’Ypf ha stretto collaborazioni anche con i media: i giornali ora pubblicano editoriali ben scritti e circostanziati a opera dei suoi giovani autori.

È molto più di un salotto ciarliero: gran parte dei suoi membri è lì per agire. Il gruppo che si occupa delle istituzioni per lo sviluppo territoriale organizza squadre di lavoro che si recano nei villaggi e chiedono alle persone quali siano le loro preoccupazioni e aspirazioni e che cosa si possa fare per affrontarle. I mentori esperti nel lavoro sul campo aiutano gli abitanti a elaborare idee concrete e a metterle in pratica. Questo filone di lavoro dell’Ypf è stato voluto da un parlamentare interessato a ricevere riscontri onesti sui problemi che i suoi elettori si trovavano ad affrontare. Altri deputati hanno capito subito che simile slancio andava imitato e si sono mobilitati per richiedere un allargamento dell’Ypf e un suo raccordo con i politici nazionali.

Questo legame ha dato vita a un’ulteriore e preziosa espansione, il programma Governance Apprenticeship, attraverso il quale i membri dell’Ypf svolgono importanti ricerche per i deputati, dando una maggiore base fattuale al dibattito politico e imparando di prima mano come si svolgono i lavori parlamentari. Le competenze dell’Ypf sono oggi riconosciute e apprezzate: il ministro della pianificazione ha chiesto all’associazione di sintetizzare i voluminosi fascicoli del Piano quinquennale e della 2041 Vision per renderli meno indigesti ai parlamentari. Cosa ancor più promettente, l’Ypf è al lavoro sia con i politici al governo sia con quelli dell’opposizione per fornire loro supporto sulla ricerca nel campo delle politiche pubbliche.

L’Ypf sta dunque coltivando un coinvolgimento bipartisan all’attività legislativa – un inedito assoluto per un paese con un passato politico fatto di rivalità dinastiche. I politici contano, ma i professionisti delle politiche pubbliche sono i membri della pubblica amministrazione: il Forum ha una rete che consente ai funzionari di informarsi sulle nuove ricerche accademiche e che insegna ai giovani membri dell’Ypf le loro esperienze sul campo.

È un’esperienza paragonabile ai primi anni del Rotary Club: espansione organica esplosiva, devoluzione dell’agentività e istituzione di un protocollo propositivo. L’Ypf è già una forza per il bene a livello locale e nazionale. E il tempo è dalla sua parte: tra due decenni questo gruppo di fondatori dell’Ypf ricoprirà posizioni di rilievo.

Copyright ©️ 2024 Paul Collier

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Tratto da “Poveri e abbandonati” (Egea) di Paul Collier, pp. 131, 25,00€



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