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Limbania Leoni, la soprano sarda che cantò con Maria Callas e Pavarotti La Nuova Sardegna #finsubito richiedi mutuo fino 100%


A un anno dalla pubblicazione del volume “La Musica. E la vita in mezzo.” (Angelica Editore 2023, con il contributo della FdS), gli studenti della 5L del Liceo Musicale Azuni di Sassari stanno lavorando a un nuovo progetto dedicato alla riscoperta della soprano sarda Limbania Leoni (Carloforte, 1927 – Castefidardo, 2021). Sotto la guida del prof. Fabio Madau, docente di Storia della Musica, la classe ha intrapreso una ricerca storico-musicale per ricostruire la vita e la carriera della cantante, sconosciuta ai più, ma con un curriculum artistico di grande rilievo, che include esibizioni nei teatri più prestigiosi del mondo. Un contributo al progetto arriva dal prof. Salvatore Sanna, pronipote della Leoni, che ha fornito documenti inediti.

Gli studenti hanno inoltre avuto l’opportunità di intervistare Carlo Fontana, ex sovrintendente del Teatro alla Scala, che conobbe Limbania Leoni personalmente e che ha condiviso ricordi e aneddoti sulla sua carriera e sul loro rapporto di amicizia. Qui riportiamo alcuni estratti significativi dell’intervista.

Qual è stato il suo primo incontro con Limbania?

« Il primo incontro con Limbania avvenne a Tolosa, in Francia, nel 1958, durante una tournée dell’AsLiCo. In quell’occasione la conobbi perché interpretava Olga nella Fedora. Nacque subito una grande amicizia, molto affettuosa e sincera, che coinvolse anche la mia famiglia. Ci frequentammo assiduamente, e Limbania divenne una presenza costante nella nostra vita fino alla sua scomparsa. La ricordo anche in un’altra esibizione nel 1958, a Vercelli, dove cantava La Bohème, il suo ruolo più famoso, quello di Musetta, che l’ha resa popolare».

In quali altre occasioni ha avuto modo di ascoltarla cantare?

«L’ho sentita cantare in molte occasioni. Oltre a Musetta in La Bohème, che è il ruolo che la caratterizzava, l’ho vista alla Scala in Fedora, e ricordo anche un’interpretazione di Annina in La Traviata nel 1964, diretta da Karajan. Negli anni ‘60 la sua voce si era irrobustita, passando da un lirico leggero a un lirico pieno, il che le permise di affrontare ruoli più impegnativi, come in Traviata e Madama Butterfly».

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Quali rapporti aveva Limbania con grandi cantanti come Mirella Freni, Maria Callas o Luciano Pavarotti?

«Limbania era una persona molto espansiva e brillante, ed ebbe ottimi rapporti con tutti. Con la Callas, che ammirava profondamente, collaborò in Medea, ma manteneva un certo rispetto reverenziale nei suoi confronti. Con Pavarotti e la Freni, che erano più giovani, aveva rapporti più amichevoli e affettuosi. In particolare, con Piero Cappuccilli, debuttarono insieme negli anni dell’AsLiCo».

Ha qualche aneddoto particolare legato alla Callas o ad altri artisti?

«Un aneddoto curioso riguarda proprio la Callas. A causa della sua forte miopia, non poteva muoversi facilmente sul palco. All’epoca non esistevano le lenti a contatto moderne, ma solo quelle di vetro, che non offrivano una visione perfetta. Per evitare incidenti durante le esibizioni, si faceva dipingere di bianco i gradini del palco, in modo da vederli meglio e potersi muovere con sicurezza. Questo dettaglio racconta molto della sua professionalità».

Nel 1969, Limbania decise di ritirarsi dalle scene. Perché prese questa decisione?

«Limbania aveva sempre avuto un forte desiderio di famiglia. Era una donna molto coraggiosa: da giovane, lasciò Carloforte per studiare a Firenze, da sola, negli anni ‘50. Ma alla fine, scelse la famiglia sopra tutto. Conobbe il conte Carlo Rognoni durante una tournée a Parma e si innamorarono. Rognoni lasciò la sua famiglia per stare con lei, e insieme si trasferirono a Calisese, vicino Cesena. La decisione di ritirarsi dalle scene mi sembrò naturale per una donna come Limbania, che desiderava una vita stabile accanto all’uomo che amava».

Quali sono state le sfide maggiori che Limbania ha affrontato durante la sua carriera alla Scala?

«Una delle sfide più grandi per Limbania fu diventare una cantante stabilizzata alla Scala. All’epoca c’erano solo pochi cantanti che riuscivano a ottenere ruoli secondari, ma anche primi ruoli all’occorrenza, e Limbania era tra questi. Il suo ruolo di Musetta in La Bohème alla Scala fu sicuramente il momento più alto della sua carriera, e, secondo me, rimane la migliore interpretazione di Musetta che io abbia mai sentito».

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Come vede la differenza tra dirigere teatri come la Scala, il Comunale di Bologna o il Regio di Parma?

«Il Regio di Parma fu un’esperienza breve, ma significativa, poiché mi fu chiesto di risanare una situazione economica disastrosa, cosa che feci in occasione del bicentenario della nascita di Verdi. Bologna, invece, fu un’esperienza bellissima. Era un teatro che permetteva di inventare, di fare squadra, e gli spettacoli erano premiati dal successo del pubblico. La Scala, invece, è una grande industria che ti chiede di realizzare ogni spettacolo come un prototipo di alta qualità, come una Ferrari da corsa. Questo comporta uno stress enorme e una complessità gestionale fuori dal comune».

Come si mantengono i rapporti con grandi artisti come quelli che si trovano nei libri di storia della musica?

«È complicato. Gli artisti di altissimo livello, come Riccardo Muti, con cui ho lavorato per quindici anni, hanno personalità molto complesse. Sono persone autoreferenti, che vedono se stesse al centro del mondo, il che rende difficile il rapporto con loro. Tuttavia, quando si riesce a costruire una relazione solida, le soddisfazioni sono immense. La Scala, come diceva Paolo Grassi, è un teatro affascinante e crudele, capace di dare le maggiori gioie ma anche i dolori più grandi».



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