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Lo smart working non è lavoro dal divano di casa: per la legge che lo regola alterna presenza e distanza #finsubito prestito immediato


Secondo l’editorialista de la Repubblica Massimo Giannini, quel modello è simile a Jack Nicholson in «Shining». Immagine suggestiva, ma che nulla c’entra con quelle norme

Con cadenza periodica lo smart working finisce al centro delle polemiche per via delle presunte disfunzioni che genera alla produttività e alla socialità del lavoro: dopo l’annuncio della più importante piattaforma mondiale di e-commerce, che dall’1 gennaio riporterà tutti i propri dipendenti in azienda, Massimo Giannini su la Repubblica non ha perso l’occasione per riaprire la polemica verso i guasti che sarebbero prodotti dal lavoro agile.

Le critiche sul modello del lavoro a distanza introdotto durante la pandemia

Una polemica che nasce da una malcelata, anzi dichiarata, nostalgia verso un modello di lavoro che, per colpa degli eccessi digitali introdotti dalla pandemia, sarebbe stato superato troppo frettolosamente, generando tanti guasti alla socialità delle persone. Basta osservare la realtà delle norme e delle prassi seguite dalle aziende per comprendere che le cose non stanno esattamente così: non siamo passati da un’era dove eravamo tutti felici, seppure affaticati dal peso di andare al lavoro, a un mondo nel quale si lavora solo in pigiama, accarezzando il gatto e facendo la lavatrice durante una riunione. Mondo che, sia chiaro, sarebbe effettivamente dannoso per la salute delle persone e la produttività delle aziende, non essendo concepibile pensare che la vita lavorativa si svolga esclusivamente parlando con uno schermo.

Il lavoro agile per la maggiore parte delle aziende alterna distanza e presenza

Ma la realtà, come accennato, è ben diversa, innanzitutto dal punto di vista normativo. Se andiamo a guardare cosa dice la legge 81/2017, lo smart working, salvo i casi patologici, non è «lavoro da casa», e non prevede affatto l’azzeramento della socialità lavorativa. Il lavoro agile – nella forma disegnata dalla legislazione italiana ma anche in quella ormai praticata dalla maggioranza delle aziende – si struttura come alternanza tra presenza in ufficio e lavoro da remoto: non c’è una solitudine esistenziale che imprigiona le persone, ma ci sono giorni in presenza e giorni a distanza (o addirittura forme di alternanza nella stessa giornata lavorativa).

Nessuno resta prigioniero in gabbie digitali che lo estraniano dalla realtà

Un modello che trova piena rispondenza sia nella contrattazione collettiva – è frequente il richiamo alla necessità di valorizzare l’alternanza tra lavoro in presenza e lavoro a distanza – sia nella prassi delle aziende, che nella stragrande maggioranza adottano forme “ibride” di lavoro agile (il modello più diffuso prevede 3 giorni in ufficio e 2 in smart working, ma sono tante le varianti). L’apocalittica denuncia di Giannini – che addirittura avvicina il lavoro agile alle scene di Shining – si sgonfia facilmente di fronte a questo dato oggettivo: il lavoro agile porta un po’ di socialità in meno, certamente, ma le persone che fanno smart working non sono intrappolate dentro gabbie digitali che le isolano in maniera irreversibile.

Il modello dello smart working chiede però grande sforzo organizzativo

Certamente, parliamo di una modalità lavorativa che richiede un grande sforzo organizzativo alle persone e alle imprese, per poter funzionare correttamente. Le persone devono avere la capacità di organizzare la propria vita personale in modo da evitare che durante i periodi di lavoro agile ci siano distrazioni, impegni o vincoli che rendono difficile essere presenti e concentrati sulle varie attività richieste dal datore di lavoro. Le aziende, dal canto loro, devono occuparsi di due problemi opposti: come rendere produttivo il lavoro agile, e come mantenere vivi i momenti di interazione personale, fondamentali soprattutto per i giovani alle prime esperienze.

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I giudizi delle imprese fino ad oggi sono stati soprattutto positivi

Da questo punto di vista, i segnali sono incoraggianti: le aziende che maneggiano lo strumento attraverso piani dettagliati e utilizzano il lavoro per obiettivi, invece del «lavoro a tempo», come metro di valutazione delle prestazioni, raccontano di un saldo nettamente positivo. Non va dimenticato, infine, che per le nuove generazioni il tema dello smart working non è oggetto di dibattito: oggi chi sta sul mercato del lavoro e vuole attrarre talenti fatica ad assumere personale se sceglie di non utilizzare il lavoro agile. Questo accade perché per le nuove generazioni il lavoro senza smart working è un po’ come il giornale di carta: qualcosa cui erano affezionati i loro genitori, ma che ormai sta lentamente scomparendo.

Foto di repertorio: Sitthiphong Thadakun su Dreamstime.com



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