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Aviaria, nuovi focolai in Italia – Zootecnia #finsubito prestito immediato


Rieccola puntuale l’influenza aviaria, persino in anticipo rispetto al previsto. L’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, che di questa patologia è centro di referenza nazionale, già il 26 settembre scorso aveva segnalato la presenza del virus ad alta patogenicità H5N1 in un uccello selvatico (Anas crecca, alzavola), in Veneto.

L’influenza aviaria, come noto, si sposta con gli uccelli migratori che rappresentano una delle principali vie di diffusione.

 

Sono bastati pochi giorni al virus per entrare in un allevamento di tacchini a Mira, in provincia di Venezia. Cinque giorni dopo eccolo sconfinare in Emilia Romagna, in un allevamento di polli a Codigoro, a nemmeno 80 chilometri di distanza.

Le misure di contenimento sono scattate con la consueta tempestività, tanto che già si prevede di chiudere le zone di protezione e di sorveglianza entro i primi giorni di novembre.

La conta degli animali abbattuti rischia però di essere imponente, specie per il caso di Codigoro, dove si parla di oltre mezzo milione di animali. Un’ecatombe.

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In Veneto e in Emilia Romagna, dove gli allevamenti avicoli sono molto diffusi, crescono così le preoccupazioni.

 

Biosicurezza al primo posto

Come nel caso della peste suina africana (ma le due malattie sono assai diverse), è necessario adottare misure draconiane con l’abbattimento degli animali e il blocco delle attività di allevamento.

Intuibili i danni che ne derivano, rimborsati solo a distanza di tempo e non integralmente.

Ora gli allevamenti dovranno aumentare il più possibile tutte le misure di biosicurezza.

 

Fra queste il divieto di accesso ad estranei, l’impiego di soprascarpe e abbigliamento monouso, la disinfezione personale e dei mezzi in entrata, come pure delle attrezzature.

I maggiori problemi riguardano gli allevamenti che prevedono l’accesso a parchetti esterni, dove aumenta la possibilità di incontrare il virus veicolato dai selvatici.

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Attenzione crescente

Tanta apprensione per l’influenza aviaria non ha solo motivazioni economiche. In questo caso si è in presenza di un virus capace di infettare l’uomo, evenienza rara ma non da trascurare.

Ad essere esposti al rischio sono soprattutto gli “addetti ai lavori”, mentre è bene ribadire che il consumo di carni avicole non comporta in alcun caso rischi.

 

Nemmeno è possibile la trasmissione del virus da uomo a uomo, cosa che renderebbe questa patologia più temibile.

Non mancano tuttavia motivi di preoccupazione dopo che negli Usa si sono verificati episodi, a sorpresa, di influenza aviaria nei bovini.

Un segnale della capacità di questo virus di modificarsi e adattarsi.

 

Problema mondiale

Molti anni fa fa l’influenza aviaria era considerata una malattia sporadica e autolimitante, ma di passaggio in passaggio ha aumentato la sua virulenza ed è diventata un problema mondiale, capace di infettare orsi polari, mammiferi marini, visoni e gatti.

 

Ilaria Capua, veterinaria e virologa di fama internazionale, a più riprese ha sottolineato la necessità di tenere alta la guardia su questo virus.

Il giorno che l’influenza aviaria dovesse “imparare” a trasmettersi da uomo a uomo saremmo di fronte a un’emergenza sanitaria più problematica del covid-19.

 

L’influenza in Europa

Il 26 settembre la Commissione Europea ha aggiornato le misure da adottare nei paesi europei dove l’influenza aviaria è presente.

A Cechia, Danimarca, Francia, Germania, Polonia, dove il virus era già presente, si dovrà ora aggiungere anche l’Italia.

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In Francia, dove l’influenza aviaria ha colpito duramente nel 2024, si è deciso di ricorrere alla vaccinazione, sebbene solo nelle anatre e nelle oche.

I risultati sono stati positivi, ma il virus non è stato del tutto debellato.

 

Anche in Italia in passato si è chiesto a gran voce di ricorrere alla vaccinazione.

Una soluzione che presenta alcune criticità, per i costi e i controlli che richiede anche successivamente.

La parola chiave è ancora una volta biosicurezza.

Almeno in questo caso la “fragilità” del virus e la sua sensibilità a biocidi e disinfettanti ci viene in aiuto.

 

Intensivo è meglio

Un aiuto ancora più importante arriva dal modello di allevamento avicolo, per lo più in ambienti confinati e protetti, impropriamente definiti intensivi.

L’assenza di contatti con l’esterno aiuta a prevenire l’ingresso del virus.

Purché il management sia consapevole del rischio e adotti con scrupolo le misure di biosicurezza.

Tanto più se si tratta di allevamenti in qualche modo collegati fra loro.



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