L’hacker della Garbatella finito in carcere con l’accusa di aver violato i sistemi informatici del ministero della Giustizia, della Finanza, della polizia – oltre alle mail dei pm di Roma, Napoli, Gela e Brescia che indagavano su di lui – «gestiva e amministrava diversi black market dediti principalmente al traffico di sostanze stupefacenti».
È quanto emerge dall’informativa del 22 dicembre scorso redatta dai finanzieri del nucleo speciale Tutela privacy e frodi tecnologiche e consegnata alla Procura di Gela. I black market altro non sono che una piazza virtuale dello spaccio, dove acquirenti e venditori entrano in contatto. Ebbene Carmelo Miano, «disponeva delle chiavi di accesso da amministratore di tali piattaforme, dei file sorgente della programmazione e parti di database relativi al traffico di sostanze stupefacenti (conversazioni, tracking, gestione ticket)». Così il 23enne aveva incassato – secondo una prima stima – oltre 6,2 milioni di euro in criptovaluta. Per camuffare «l’indebito arricchimento», l’hacker effettuava «operazioni di mixing» del denaro virtuale e faceva confluire i profitti su conti intestati a prestanome (tra cui i genitori). Anche Ivano Impellizzeri, il poliziotto suo complice co-indagato dalla Procura napoletana per gli accessi abusivi, gestiva conti presso gli exchange Kraken e Coinbase intestati a “teste di legno” sui quali avrebbe trasferito 20mila euro reimpiegati in investimenti in criptovalute. Di questa svolta investigativa, che aveva portato la Finanza a chiedere l’arresto di Miano e il sequestro di 6,2 milioni di euro, il ragazzo viene a conoscenza in tempo reale, visto che aveva hackerato le mail dei pm. «A Gela ci sono due nuovi magistrati che scoppiano», spiega il 23enne al suo amico coetaneo Luca Basili, riferendosi probabilmente (precisano gli inquirenti) «ai loro intensi carichi di lavoro e ai tempi di evasione di eventuali richieste e provvedimenti avanzate dalla polizia giudiziaria».
A CACCIA DI SOLDI SEQUESTRATI
«Date le elevatissime e non comuni capacità informatiche del Miano, il migliore sistema per carpire informazioni riservate ed eventualmente “individuare” la destinazione dei profitti sottoposti a sequestro, non poteva che essere costituito da quello “silente” dell’intrusione abusiva nei sistemi informatici della rete “Giustizia”». In sostanza, trattandosi di moneta virtuale, il 23enne voleva capire in quali wallet fossero finiti le criptovalute già sequestrate nel 2020 con l’indagine della Procura di Brescia che aveva condotto alla chiusura di un mercato nero attivo su internet, denominato “Berlusconi market”. Di recente aveva fatto illecitamente accesso al portale sanitario della Guardia di Finanza, «visualizzando i dati contenuti e prelevando ciò che con ogni probabilità risulta essere documentazione contenente dati sanitari di un dipendente». Il sospetto degli inquirenti è che volesse «rivendere sul darkweb i dati illecitamente acquisiti». E chissà quali altri piani stava escogitando per intrufolarsi in archivi segreto. Il 15 maggio scorso, per esempio, si è messo a cercare su “Google Maps” l’indirizzo del palazzo in via Crescenzio, a Roma, dove ha sede la Direzione generale dei sistemi informativi automatizzati (Dgsia) del ministero della Giustizia, «soffermandosi in particolare sull’ingresso e sul sistema di videosorveglianza».
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