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Carni sostenibili: economia rigenerativa futuro allevamenti intensivi #finsubito prestito immediato


Milano, 15 ott. (askanews) – Gli allevamenti intensivi sono da tempo sul banco degli imputati per il loro impatto ambientale tanto quanto per le condizioni di vita riservate agli animali stessi. Carni Sostenibili, realtà creata dalle principali associazioni di categoria, Assocarni, Assica e Unaitalia, tuttavia, respinge questa equazione a difesa di un modello che da anni, afferma il presidente, Giuseppe Pulina, sta lavorando per una maggiore sostenibilità. “Identificare gli allevamenti intensivi come si fa oggi con allevamenti concentrati, molti animali in poco spazio, è fuorviante – afferma Giuseppe Pulina, presidente di Carni Sostenibili – anche perché il problema che è all’evidenza quello di una quantità di emissioni piuttosto rilevante non dipende dagli allevamenti intensivi, ma dalla concentrazione degli allevamenti in aree molto ridotte”. Per Pulina, che è professore di Etica e sostenibilità degli allevamenti all’Università di Sassari, una convivenza tra allevamenti intensivi, riduzione dell’impatto ambientale e benessere animale è possibile: “Sì, assolutamente sì, deve esistere – dice – e questo deve passare attraverso l’economia circolare e rigenerativa. In un allevamento tutto quello che sono gli effluenti sono materiali biologici che possono rientrare nel ciclo e rigenerare attraverso le coltivazioni quello che è il ciclo successivo”. Secondo Pulina, che preferisce chiamare gli allevamenti intensivi protetti, la ricerca dell’efficienza riduce anche l’impatto della produzione, impatto che si potrebbe ulteriormente contenere con un sistema circolare come quello dell’agricoltura rigenerativa. “Gli allevamenti protetti, gli allevamenti più efficienti – spiega – sono quelli che impattano meno, hanno maggiore disponibilità economica per assicurare il benessere degli animali e in realtà poi hanno anche una maggiore protezione nei confronti degli operatori che lavorano all’interno di questi di questi sistemi”. Un recente studio, realizzato da cinque associazioni ambientaliste, ha sottolineato che dagli allevamenti intensivi arriva il 75% delle emissioni di ammoniaca, seconda fonte di formazione delle polveri sottili in Italia, causando 50 mila morti l’anno. Ma per Pulina questi dati sono fuori scala: “In Italia, questo è Ispra che ce lo dice, il particolato da allevamenti, il PM10 è intorno all’11%, mentre il PM2,5 è inferiore al 3% – dice Pulina – Perciò, se parliamo di particolato e abbiamo 50 mila morti di particolato, prendiamo la parte che ci spetta tra il 3% e l’11% l’un per l’altro e vediamo che si parla di numeri decisamente inferiori”. Ridurre le emissioni, tuttavia, è necessario, ammette, anche per rendere economicamente più virtuose le stesse aziende: “Questo è un impegno che deve essere chiaro a tutti gli allevatori, come? Sicuramente facendo un’operazione virtuosa, il particolato di fatto si origina dall’ammoniaca che si volatilizza dalle lettiere. Allora si deve intervenire lì, ma per un motivo banale, perché siccome oggi l’urea costa tantissimo per i motivi della guerra russa-ucraina, risparmiare azoto significa ottenere degli effluenti dall’azienda zootecnica che hanno un valore superiore e possono essere più preziosi nella loro riutilizzazione in campo facendo risparmiare azoto di sintesi”. E sul fronte del benessere come si può intervenire per garantire produzioni rispettose degli animali allevati, anche alla luce delle recenti denunce da pare delle associazioni ambientaliste? “Io credo che gli esempi cattivi siano rari non gli eventi positivi perchè il benessere degli animali è anche un fattore di produzione. Fattore di produzione significa che un allevatore non può permettersi di avere in stalla animali che non godano di un benessere sia dal punto di vista alimentare che fisico e tanto più sanitario, perché questo comporterebbe la chiusura dell’allevamento”.



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