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Cari Meloni e Giorgetti, quando seghiamo i contributi statali ad Avvenire, Libero, Manifesto, Foglio e non solo? #finsubito prestito immediato


Cambiano i governi eppure restano i contributi statali ad alcuni giornali. Anche in tempi di tagli ai ministeri. E a danno delle testate solo digitali. La lettera di Claudio Trezzano

Caro direttore, ho visto con ritardo la newsletter domenicale del Post, Charlie, dedicata al mondo del giornalismo.

Mi ha colpito questo capitoletto:

“È stata pubblicata la lista dei giornali che riceveranno la prima delle due quote di contributi pubblici assegnati ogni anno dal Dipartimento per l’editoria della Presidenza del consiglio. Le testate beneficiarie sono sempre quelle (qui sotto le prime per contributo)”.

Dolomiten 3.088.498,02 euro
Famiglia Cristiana 3.000.000,00 euro
Avvenire 2.877.518,71 euro
Libero 2.703.559,98 euro
ItaliaOggi 2.031.266,98 euro
Gazzetta del Sud 1.907.290,22 euro
Quotidiano del Sud 1.848.080,44 euro
Manifesto 1.638.950,20 euro
Corriere Romagna 1.109.178,49 euro
Cronacaqui.it (Torino Cronaca) 1.103.650,04 euro
Foglio 1.039.757,19 euro
Gazzetta del Mezzogiorno 951.898,94 euro
Primorski dnevnik 833.334,04 euro
Editoriale oggi (Ciociaria Oggi) 814.966,33 euro
Cittadino 712.049,40 euro

Insomma, direttore, cambiano i governi, permangono le esigenze di risparmio, eppure i soldi per compiacere quegli editori che hanno in mano il cartaceo a quanto pare permangono. Con buona pace di quella norma inserita nella legge di Bilancio 2019 con cui il governo Conte-1 (Lega-M5S) aveva previsto una riduzione progressiva dei contributi pubblici all’editoria del 20% nel 2019, del 50% nel 2020, addirittura del 75% nel 2021 fino alla loro abolizione totale a partire dal 2022 e che poi ciascun esecutivo, nei vari Milleproroghe, ha via via calciato lontano, rimandandone gli effetti sine die.

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Infatti, siamo nel 2024 e stiamo ancora parlando di contributi statali ai quotidiani. Sono diminuiti, vero, ma restano un indicibile sperpero di denaro, tanto più se poi con la legge di bilancio il ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti chiama tutti a fare la sua parte.

Scriveva lo scorso anno il Fatto, quotidiano vicino alla causa grillina e dunque favorevole all’eliminazione dei contributi statali all’editoria: “Alcuni dei più importanti giornali nazionali ancora oggi godono dei finanziamenti pubblici diretti da parte dello Stato: secondo i dati del Dipartimenti dell’Editoria relativi al 2021 (ultimi disponibili), Italia Oggi ha ricevuto quell’anno 4 milioni di euro, Libero 3,9 milioni, Il Manifesto 3,3 e Il Foglio 1,9 solo per citare i più importanti quotidiani che sono di proprietà di cooperative.”

Cifre da capogiro che, allo stato attuale, potrebbero essere meglio spese nella sanità, o nella sicurezza. O nelle scuole in cui manca persino la carta igienica (che si usino i quotidiani?).

Intendiamoci, nessun rigurgito di grillismo, non vado a urlare “giornalai” o “servi del potere” sotto le redazioni. Ma cosa c’è di liberista – come dice di essere il centrodestra – in un sistema che altera il gioco della concorrenza fra testate creando un sistema spartito tra quelle che per stare in piedi usufruiscono dei contributi e quelle che sono “figlie della serva” e devono tirare avanti con le loro sole forze?

Perché alcuni giornali possono continuare a informare solo se hanno un mercato, mentre altri sono al di sopra di queste regole darwiniane? “O tutti o nessuno”. Ce lo insegna nonna fin da piccoli quando corriamo da lei singhiozzando che il fratellino ha avuto più torta di noi. E poi nella vita vera succede questo?

Vogliamo mantenere questo sistema grottesco? Almeno si abbia la decenza di fargli un tagliando. Questo esborso di denaro pubblico è stato concepito al tempo dei giornali di carta in cui Internet il legislatore nemmeno sapeva cosa fosse: al peccato originale di una asimmetria tra chi lo riceve e chi no ora perciò si aggiunge una seconda disparità che rende il settore ancora più iniquo e per pochi privilegiati, visto che ci sono testate unicamente su Web che devono fronteggiare concorrenti che intascano fior di fondi statali per la carta che però vengono dirottati anche per il mantenimento delle loro redazioni on line.

Ma è davvero ridicolo da parte mia sperare che la norma possa prendere in considerazione il mondo dell’online quando il legislatore non ha mai avuto interesse a dare reale applicazione alla legge sulla tracciabilità delle vendite e delle rese di quotidiani e periodici, attraverso l’utilizzo di strumenti informatici e telematici basati sulla lettura del codice a barre [originariamente prevista, a decorrere dal 1° gennaio 2013, dal D.L. 63/2012-L].

Così come non è mai stata implementata l’informatizzazione delle edicole, divenuta legge nel maggio del 2012 e mai applicata nonostante, a parole, già dal marzo 2012 [più di nove anni fa], la FIEG dichiarasse che «Fra gli interventi per modernizzare e valorizzare la filiera distributiva la Fieg, che sta già lavorando all’informatizzazione della rete, valuta come opportunità positiva la possibilità di maggiori flessibilità per le singole edicole per la vendita di giornali e riviste».

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Direttore, vorrei sapere se anche tu, come me, ti sei mai ritrovato a chiederti come mai, di fronte a una simile disparità di trattamento che a memoria non ravviso in nessun altro settore, nessuna delle testate Web se ne lamenti davvero. Non è strano? Dirò di più: non è sciocco? Autolesionistico? O persino sospetto?

Anche oggi ho abbondato con le domande e abusato della pazienza, ma nel mio piccolo volevo fare in modo che se ne parlasse.

Tuo,

Claudio Trezzano



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