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Basta retorica, rispetto per chi investe in sicurezza #finsubito prestito immediato


“Ogni giorno il lavoro in Italia non solo uccide almeno tre persone ma ferisce circa 2.000 lavoratori, cioè 2.000 famiglie, coniugi, figli. La vita di migliaia di persone è stravolta. Dalle istituzioni non c’è nessuna forma di vera assistenza umana, morale, psicologica, per tutte le vittime. Qualsiasi infortunio ferisce tutta la famiglia e la comunità”. Questa la cruda ma reale affermazione del già direttore dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e oggi magistrato di Cassazione Bruno Giordano in occasione della 74ª giornata nazionale in ricordo delle vittime del lavoro. Parlando con Carmen Santoro del Gr Rai ha affermato: “Ci vuole coraggio per radiografare le cause degli infortuni, cause economiche, politiche, istituzionali degli infortuni, per guardare in faccia questa tragedia. Dalla Thyssenkrupp a oggi ci sono stati oltre 20 mila morti sul lavoro e 10 milioni di feriti. Numeri che rappresentano la più grande tragedia civile italiana. Non basta parlare di ispezioni, ci vuole qualità ed efficienza dei controlli e delle indagini, con l’istituzione di una procura distrettuale e nazionale sul lavoro”. A lui abbiamo chiesto di esercitare coraggio e di individuare – almeno in parte – le cause che sono dietro quella che ormai è una vera e propria strage

Come ogni anno, la seconda domenica di ottobre si celebra la giornata nazionale delle vittime di incidenti sul lavoro, e come ogni anno assistiamo a questo rito che sembra quasi un po’ vuoto, continuiamo a contare incidenti e morti ma poco succede perché questo non avvenga.

Purtroppo le ricorrenze di questi drammi quotidiani sono anche troppe, perché sono tante le stragi sul lavoro, sono tante le occasioni per riflettere però non si produce alcunché dal punto di vista della sicurezza effettiva, reale e concreta. Credo che ogni momento di riflessione sia utile, anche quello della domenica di ottobre dedicata al ricordo delle vittime sul lavoro, però manca una regia che possa veramente coordinare le proposte che vengono dalle imprese, dai sindacati, dalle associazioni di categoria e dalle associazioni di vittime sul lavoro per rimediare alla più grande tragedia civile del nostro Paese. Quella di oggi non deve essere una giornata di commemorazione o semplicemente di riflessione.  Deve essere un atto di coraggio, un colpo di reni per poter alzare la voce. Ma non vogliamo più ascoltare la retorica, ormai macabra, che c’è ad ogni ricorrenza. Quest’anno l’abbiamo ascoltata dopo le stragi di Brandizzo, di Firenze, di Suviana, di Casteldaccia. E ancora l’abbiamo ascoltata il 28 aprile nel corso della giornata mondiale contro le morti sul lavoro e poi il primo maggio. Retorica, riflessioni, anche proposte importanti e poi il nulla.

È appena entrata in vigore la cosiddetta patente a crediti, cosa ne pensa?

Intanto, è bene ricordare che la patente a crediti si applica soltanto in edilizia a qualsiasi impresa – anche non edile – che operi dentro un cantiere. Dopo la strage di Firenze si è costruito semplicemente un castello di carta fatto di Pec e di e-mail, di rimbalzo di documentazione senza modificare nulla della sicurezza nei cantieri. La patente, appunto, si limita a un atto notorio, un’autocertificazione di requisiti in materia di sicurezza che esistono da 30 anni e 20 giorni, cioè dal 19 settembre 1994. L’obbligo formativo, il documento di valutazione dei rischi e la designazione del responsabile servizio prevenzione e protezione sono obbligatori da oltre 30 anni, da quando entrò in vigore il decreto 626 del 94 per tutte le imprese, anche per gli enti pubblici. Quindi dove sarebbe la novità? Semplicemente nell’autocertificazione, ma con questo articolo introdotto su proposta del governo, corretto con un decreto ministeriale del ministro del lavoro, e poi ancora con una circolare dell’ispettorato del lavoro, si costruisce un castello di carte ma non si modifica nulla in cantiere, è semplicemente una sicurezza di carta e burocrazia fine a se stessa, che ovviamente poi va a gravare soprattutto sulle piccole e medie imprese edili o sui lavoratori autonomi che lavorano dentro un cantiere edile con oneri che vanno a favore dei consulenti del lavoro o di chi si occupa di sbrigare queste pratiche per chi non le può fare da sé.

Uno degli ultimi morti sul lavoro era un uomo di 70 anni caduto da un’impalcatura.

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A 70 anni non si dovrebbe salire su un’impalcatura e non dovrebbero nemmeno salire gli operai e gli impiantisti che non hanno avuto una formazione sufficiente. Questo è il dramma dell’edilizia, persone anziane sono costrette a lavorare, non certo per manie di arricchimento ma per necessità. Ma a quell’età i fattori psicofisici e la curva dell’attenzione mettono a repentaglio la sicurezza. Oggi nei cantieri edili vi è una varietà di manodopera che non dovrebbe esserci, persone troppo in là con gli anni, o con poca formazione. Non è un caso che proprio in questo settore e in agricoltura si registra il numero maggiore di incidenti. Non solo, non dimentichiamo che l’edilizia non è semplicemente foriera di infortuni gravi e gravissimi, ma anche di malattie professionali, si pensi all’esposizione alle polveri, alle malattie muscolo scheletriche per la movimentazione dei carichi, alle ipoacusie. Gli incidenti fanno notizie, ma le malattie professionali sono molto di più degli incidenti.

Esiste, a suo parere, un collegamento diretto tra precarietà del lavoro, bassi salari e incidenti sul lavoro? Se un uomo a 70 anni è costretto ad andare sopra a un ponteggio in un cantiere edile, forse c’è qualcosa nella sua carriera professionale che non ha funzionato?

Il fattore contrattuale è certamente il primo a ingenerare problemi di sicurezza del lavoro. Dove c’è un lavoro precario, instabile, non c’è nessuna tutela; quando il lavoratore sa di essere in prossimità della scadenza del contratto non si ribella tace e spera nel rinnovo. E questo accade anche, per esempio, nel lavoro nero, nel lavoro grigio. La debolezza del lavoratore porta, innanzitutto a rinunciare alle proprie pretese in materia di sicurezza. Un lavoratore debole purtroppo non può alzare la testa per esigere di essere tutelato. Il lavoro precario, bassi salari, lavoro nero, lavoro grigio sono esattamente la benzina sul fuoco, sono il terreno in cui sorgono le rinunce alle tutele e il silenzio rispetto all’esercizio dei propri diritti. L’insicurezza non è semplicemente il frutto di una violazione di una misura oppure del risparmio dei costi, questa è una visione riduttiva; l’insicurezza sorge dove non ci sono tutele, basti considerare che il 90% degli infortuni si verifica nelle piccole e medie imprese, cioè dove non si applica lo Statuto dei lavoratori, basta questa riflessione e l’equazione è molto chiara.

Cosa si augura per la giornata delle vittime degli incidenti sul lavoro del 2025?

Mi augurerei di trovare più giustizia, soprattutto spero nel silenzio di chi parla senza alcuna competenza in questa materia perché uno dei danni maggiori è continuare a parlare di cultura della sicurezza senza avere alcuna competenza. È questo che crea retorica, fumo negli occhi e fa perdere tempo ed efficienza a chi lavora sulla sicurezza, studia, si applica e ci investe. Le persone serie vanno rispettate senza coprire il loro lavoro, la loro fatica e i loro investimenti con cortine fumogene.



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