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Dal condono fiscale all’ipotesi nuove tasse, il delicato equilibrio della Manovra 2025 #finsubito prestito immediato


Il condono fiscale abbinato al concordato e l’ipotesi di nuove tasse nella Legge di Bilancio 2025 sono legati a doppio filo: l’obiettivo è reperire risorse per la messa a punto di una Manovra che si preannuncia complessa e ricca di punti critici

Si parte da un condono fiscale, per arrivare all’ipotesi di nuove tasse: le recenti novità contenute nella legge di conversione del decreto Omnibus segneranno il destino della Manovra 2025.

Il perché è chiaro: la Legge di Bilancio che il Governo si accinge a preparare sarà una “conta al centesimo”. Le nuove regole di governance europea e il debutto del Piano Strutturale di Bilancio che chiede di seguire un percorso per la progressiva riduzione del debito pubblico impongono prudenza e serietà.

Finita l’era dei bonus a pioggia, è ora tempo di “andare all’incasso”. Centrali in tal senso saranno le entrate che deriveranno dal concordato preventivo biennale, strumento di compliance al quale viene abbinato un condono fiscale con il fine di incentivarne le adesioni.

In parallelo entra in campo l’ipotesi di nuove tasse e di una revisione delle agevolazioni fiscali, a partire dai sussidi ambientalmente dannosi.

La scommessa del concordato, diventato un condono: più risorse per la Legge di Bilancio 2025

È il 31 ottobre una delle date centrali dello scadenzario del mese: si tratta del termine entro il quale le partite IVA potranno aderire al concordato preventivo biennale, strumento di compliance tra Fisco e contribuenti al quale si affianca un ravvedimento speciale sulle annualità dal 2018 al 2022.

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Con l’ok definitivo alla legge di conversione del decreto Omnibus arrivato il 3 ottobre, diventa ufficiale il condono “abbinato” al concordato, che consentirà di sanare le irregolarità dichiarative pregresse beneficiando di una tassazione agevolata.

Si tratta di una novità che rimescola le carte sul destino del concordato e che ha portato alla richiesta di una proroga del termine di adesione, per consentire una valutazione più attenta di pro e contro.

Spostare in avanti la scadenza di fine mese è però complesso, non tanto ai fini del concordato stesso ma considerando il fine ultimo dello strumento. Dal patto con il Fisco il Governo conta di incassare ulteriori risorse per la Legge di Bilancio 2025 e per la riforma fiscale, con una parte di queste che potrebbero essere utilizzate per il nuovo taglio IRPEF rivolto al ceto medio.

Una proroga della scadenza non consentirebbe di avere per tempo il quadro delle maggiori entrate da investire nella Manovra. Alle note critiche della scommessa del concordato per la pianificazione delle prossime mosse in ambito economico e fiscale si affiancherebbe quindi il rischio di dover ulteriormente ridurre i tempi per discutere di come, eventualmente, utilizzare le risorse che si renderebbero disponibili.

“Sacrifici per tutti”, il rischio di nuove tasse nella Legge di Bilancio 2025 agita il Governo

Se da un lato il concordato resta monitorato speciale, con l’invito del Ministro dell’Economia alle partite IVA di “fare lo sforzo” di accettare la proposta del Fisco, dall’altro lo stesso Giorgetti anticipa che la Legge di Bilancio 2025 chiederà sacrifici, sia alle famiglie che alle imprese.

In un’intervista rilasciata a Bloomberg il numero uno dell’Economia anticipa che la Manovra chiederà un impegno in più a chi ha maggiormente beneficiato degli effetti della crisi energetica e geopolitica. In campo l’ipotesi di introdurre un’addizionale IRES, dallo 0,5 all’1 per cento, sui profitti e sui ricavi delle imprese di maggiori dimensioni.

Quasi a dire che se la scommessa del concordato preventivo non dovesse andare a buon fine, nonostante il ravvedimento “in saldo”, il conto della Legge di Bilancio sarà finanziato da un rialzo delle imposte.

In ballo non c’è solo un contributo da parte delle imprese, ma anche la revisione delle agevolazioni fiscali che potrebbe partire dalla riduzione dei SAD, i sussidi ambientalmente dannosi.

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Nel Piano Strutturale di Bilancio il percorso è già tratteggiato e tra le novità allo studio vi è l’allineamento delle accise del diesel e della benzina. La ricetta per arrivare ad un’equiparazione dei lavori ancora non è scritta e non è chiaro se vi sarà un aumento generalizzato o se si opterà per una rimodulazione del peso delle accise sulle diverse tipologie di carburanti.

L’unico punto fermo è che il rischio di un aumento di tasse e imposte resta un tema al centro della discussione, anche considerando le “frizioni” nella stessa Maggioranza dopo le parole di Giorgetti.

Aiuti una tantum alle famiglie a platea ridotta: fuori dal bonus Natale incapienti e coppie di fatto

Al centro della settimana non solo il Fisco, ma anche le misure che puntano a sostenere le famiglie in situazione di difficoltà.

La legge di conversione del decreto Omnibus, oltre a ridefinire le regole del concordato biennale, ha portato all’approdo del cosiddetto bonus Natale di 100 euro per i dipendenti.

Si tratterà di un aiuto a platea ridotta, destinato a coloro che hanno un reddito complessivo non superiore a 28.0000 euro e che rispettano i seguenti requisiti:

  • avere un coniuge non separato e almeno un figlio o una figlia, entrambi a carico, oppure almeno un figlio esclusivamente a carico senza essere sposati o essendo separati;
  • valore dell’imposta lorda determinata sui redditi da lavoro dipendente (con esclusione di pensioni e di assegni a esse equiparati), percepiti dal lavoratore, superiore a quello delle detrazioni spettanti.

In estrema sintesi, il bonus Natale di 100 euro spetterà alle famiglie monoreddito con entrate fino a 28.000 euro e con almeno un figlio o una figlia a carico.

Resteranno fuori dalla misura gli incapienti, ossia i contribuenti per i quali l’IRPEF lorda è integralmente assorbita dalle detrazioni riconosciute, ma anche le coppie di fatto. Si attende in ogni caso una circolare esplicativa, annunciata dal Viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, per definire al meglio la platea dei beneficiari.

Accelera il DdL Lavoro

Tra i provvedimenti all’esame che meritano attenzione c’è anche il DdL Lavoro, approvato dal Consiglio dei Ministri il 1° maggio 2023. A distanza di più di un anno arriva un’accelerata per l’approvazione, con l’avvio dell’iter di discussione in Aula alla Camera partito il 27 settembre.

Tra le novità all’esame le nuove regole in materia di risoluzione del rapporto di lavoro, che hanno riacceso i riflettori sul fenomeno delle cosiddette dimissioni in bianco.

Si tratta di una pratica, resa di fatto illegale dalla riforma Fornero del 2012, che permetteva ai datori di lavoro di far firmare le dimissioni al lavoratore (in bianco, appunto) al momento dell’assunzione.

Il nuovo DDL lavoro non prevede l’introduzione di questa pratica ormai fuori legge, ma introduce delle novità che allentano le restrizioni sulle regole in materia di licenziamento.

In particolare, le previsioni contenute all’articolo 19 del DDL (A.C. 1532-bis) in esame alla Camera, intervengono sulla normativa in materia di dimissioni volontarie e risoluzione consensuale del contratto di lavoro.

Se il lavoratore fa assenze ingiustificate per un periodo che si protrae oltre il termine previsto dal CCNL applicato o, in mancanza di previsione contrattuale, per un periodo superiore a 15 giorni, il datore di lavoro può segnalarlo all’Ispettorato del Lavoro che si riserva la possibilità di verificare la veridicità della comunicazione (la verifica al momento non è quindi obbligatoria).

In tal caso, il rapporto si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina vigente in materia di dimissioni telematiche. Il lavoratore perde quindi il diritto alle tutele previste per legge in caso di licenziamento.

Secondo le opposizioni la norma rischia però di penalizzare i lavoratori, dando per scontata la volontà di interrompere il rapporto, quando invece il dipendente potrebbe essere “spinto” all’assenza dal datore di lavoro che intende licenziarlo.

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Non si tratta in ogni caso dell’unica novità prevista. Tra le misure all’esame anche l’estensione del regime forfettario alle partite IVA che operano nei confronti del proprio datore di lavoro. In caso di contratti misti, e nel rispetto di specifiche condizioni, verrebbe meno una delle cause ostative all’applicazione della flat tax del 15 per cento.

Si tratta quindi di un provvedimento che potrebbe ridisegnare su più fronti le regole dei rapporti di lavoro e che secondo il Ministero produrrà “ulteriori, positivi e tangibili risultati sul fronte dell’occupazione e delle politiche attive”.



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