Con l’avvicinarsi delle decisioni sulla legge finanziaria, si parla sempre più degli inevitabili il connessi al bilancio del paese (e, specie quest’anno, agli stringenti adempimenti imposti dall’Unione Europea) e si intensificano di conseguenza le voci di possibili nuove tasse e imposte, della natura e del genere più vari e disparati.
Ciò provoca, nella maggior parte dei casi, una reazione negativa e preoccupata da parte dei cittadini. Com’è facile immaginare, l’opinione pubblica, pur nella consapevolezza delle difficoltà dei conti dello stato, è generalmente contraria ad un incremento dell’imposizione fiscale. Con una eccezione però – forse altrettanto comprensibile – che si manifesta quando il possibile inasprimento fiscale riguarda settori o segmenti sociali di cui non si fa parte personalmente.
Così, l’idea, circolata in questi giorni dopo un tentativo di introduzione l’anno passato tradottosi in un fallimento generalizzato, di tassare i cosiddetti (e, in certi casi, ipotetici) “sovraprofitti” accumulati nell’ultimo periodo da grandi banche o aziende è condivisa, come emerge da un recente sondaggio Eumetra (svolto su di un campione rappresentativo della popolazione) da ben il 78% degli intervistati, significativamente presenti in modo generalizzato e trasversale tra tutte le diverse categorie socioanagrafiche (con un’accentuazione tra i più anziani). E con una elevata presenza di entità pressoché simile anche tra gli elettorati dei diversi partiti, sia di centrosinistra, sia di centrodestra, con solo una lieve attenuazione tra i votanti di Forza Italia e una accentuazione invece tra quelli di Fratelli d’Italia, ove questa proposta è particolarmente sentita come propria e ove è approvata da più del 90%.
Allo stesso modo, l’idea dell’introduzione di un’imposta patrimoniale, indipendentemente dal reddito percepito e calcolata sulla base dei beni a disposizione, è largamente condivisa da una percentuale di cittadini pressoché analoga e costituita da più di tre italiani su quattro (77%), a patto che essa riguardi e dunque colpisca solo chi possiede la disponibilità di almeno cinque milioni di euro, ciò che, come si sa, accade in una percentuale molto limitata (tra il 5 e il 10%) della popolazione italiana. Anche in questo caso il consenso è trasversale tra i diversi elettorati, con, ancora una volta, un relativo minor entusiasmo tra gli elettori di Forza Italia e una accentuazione tra i votanti per il Pd.
Insomma, le nuove tasse piacciono a condizione che riguardino gli altri.
Il punto è che sulle tasse e, in generale, sull’imposizione fiscale, gli italiani hanno le idee piuttosto confuse: un cittadino su quattro (specie se giovane e con basso titolo di studio, ove si raggiunge il 40%) dichiara candidamente di non avere idea di quanto paghi personalmente in tasse e imposte. E un’altra metà degli intervistati dice di saperlo forse solo in modo parziale e approssimativo. Solo un italiano su cinque sostiene di essere abbastanza precisamente al corrente dell’ammontare delle tasse versate ogni anno (ciò che peraltro è ragionevolmente molto difficile, data la numerosità e l’articolazione delle imposte che versiamo in diverse forme allo stato).
Nonostante questa conoscenza e questa consapevolezza limitata dell’ammontare di oneri fiscali impegnati annualmente, la grande maggioranza degli italiani (75%) ritiene che in ogni caso le tasse che vengono versate sono comunque troppo alte in relazione ai servizi erogati dallo Stato e dagli enti locali. Quasi tutti i nostri concittadini pensano, in altre parole, che la pressione fiscale sia eccessiva. È curioso – o forse indicativo – rilevare che questa opinione è più diffusa proprio tra chi non sa dire nemmeno approssimativamente quante tasse paga.
Tutto ciò porta in certi casi ad una sorta di comprensione per chi evade o dissimula i propri redditi. Beninteso, questo comportamento è condannato dalla netta maggioranza dei cittadini del nostro paese, ma al tempo stesso ben il 48% degli intervistati sostiene che «è giusto non pagare perché lo Stato spende male i soldi che raccoglie». Ciò che corrisponde alla diffusa e generalizzata sfiducia nello stato e nelle sue istituzioni, rilevata da molti anni in numerose ricerche.
Una visione negativa che è molto difficile da estirpare e che porta a conseguenze dannose negli atteggiamenti e nei comportamenti dei cittadini, compreso quello dell’adempimento dei doveri fiscali.
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