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Un partito di opposizione che resta al palo ha come prospettiva o quella di essere irrilevante (e prima o poi sparire) o quella di diventare portatore d’acqua della maggioranza. Per questa ragione, è assolutamente insensata la lotta a somma zero che M5s, Pd e Renzi si fanno in relazione a possibili coalizioni elettorali
La saga delle opposizioni continua. Senza soluzioni all’orizzonte. In un post su Facebook, Sergio Caserta l’ha identificata con un rebus: «I Cinque stelle non vogliono allearsi col Pd se c’è anche Matteo Renzi, mentre una parte dei Cinque stelle non si alleerebbe in nessun caso col Pd e, d’altro lato, una parte non irrilevante del Pd non vorrebbe allearsi mai coi Cinque stelle e preferirebbe allearsi con Renzi, Calenda e, se potesse anche con Forza Italia».
Il rebus non trova soluzione. La soluzione della “solitudine dei numeri primi” si è dimostrata prevedibilmente fallimentare. Non solo per i partiti piccini, come ovvio, ma anche per quelli medio-grandi come il Pd e i M5s, perché comunque troppo piccoli per correre soli, se vogliono aprirsi un varco verso il governo.
I partiti e la democrazia
Il rebus che avvilisce chi lo guarda da fuori (tutti i cittadini a parte, forse, i protagonisti direttamente coinvolti) riflette lo stato dei partiti nell’èra della democrazia post-partitica. Ma di partiti non se ne può fare a meno. In una democrazia, essi crescono comunque.
È la libertà che li ossigena. Quando siamo liberi di esprimere pubblicamente le nostre opinioni e di associarci già abbiamo un partito. Quindi democrazia vuol dire parti e partiti. La questione dunque non è partito/non partito, ma piuttosto quali partiti.
Neppure in questo caso, va precisato, la volontà può tutto. Si possono volere partiti (e se ne fanno in effetti tanti, sempre) ma non si può assolutamente volerli in un modo o in un altro. Le condizioni sono in parte poste (o imposte) dal contesto.
Il contesto che genera il rebus di cui sopra è quello di partiti notabiliari — alcuni teorici e scienziati politici preferiscono il termine neutro “cartello”, che però rende meno bene l’idea. Ma quale che sia il termine, il risultato non cambia: si tratta di partiti i cui affiliati sono essenzialmente solo coloro che sono direttamente coinvolti negli organismi politici elettivi o nominati dai partiti, a livello locale o nazionale.
Partiti come agenzie per chi fa di mestiere (non importa se per lungo e breve tempo) l’amministratore delle pubbliche funzioni, dal parlamento in giù. C’è quindi un elemento personalistico nei partiti contemporanei che è irrimediabile. L’alternativa sarebbe tornare ad avere partiti di massa o che includono molti cittadini che non hanno funzioni politiche dirette. Ma indietro non si torna. Bisogna fare di necessità virtù. Hic Rhodus hic salta.
La coerenza nel martirio
Il rebus in questione può essere risolto solo se i partiti notabiliari sono consapevoli di esserlo. Stante questa consapevolezza, possono comprendere meglio che se falliscono la strategia delle alleanze, essi perdono e con loro perdono tutti. Perdono anche i leader che li rappresentano poiché il loro destino (di credibilità, reputazione e forza contrattuale) dipende alla fine della fiera dal numero degli eletti.
Un partito di opposizione che resta al palo ha come prospettiva o quella di essere irrilevante (e prima o poi sparire) o quella di diventare portatore d’acqua della maggioranza. Per questa ragione, è assolutamente insensata la lotta a somma zero che M5s, Pd e Renzi si fanno in relazione a possibili coalizioni elettorali. Si tratta di una posizione irrazionale, che non può neppure far appello alla coerenza, poiché è assurdo appellarsi alla coerenza di un piano che porta alla sconfitta. La coerenza nel martirio è una posizione fondamentalista che poco si addice a partiti di notabili, poveri di ideali e di seguaci.
Dunque, che lo vogliano o meno, i partiti di notabili, identificati con il leader che li guida, devono, loro, riuscire a risolvere il rebus. Ad aiutarli potrebbero essere solo gli elettori. Quindi, invece di restare chiusi nelle loro stanze (telematiche o fisiche) promuovano assemblee di cittadini e cerchino di spiegare ai potenziali elettori perché scelgono, per esempio, di fare vincere la destra alle prossime elezioni regionali della Liguria.
Dal cul-de-sac i partiti personali che aspirino a non diventare portatori d’acqua della maggioranza non riescono da soli a uscire. La sperimentazione in corso in tutti i paesi democratici su forme nuove di consultazione e coinvolgimento della cittadinanza, ha qui molto senso. Vadano i leader laddove il potere primario della democrazia esiste. Ovvero, non dai propri simpatizzanti, ma dai citttadini genericamente intesi, tutti i potenziali elettori.
Del resto, la forza dei partiti personali è esterna a essi, e in ultima analisi solo negli elettori. Se i leader non lo comprendono, i loro partiti saranno destinti all’irrilevanza e l’opposizione con loro.
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