Quando l’eutanasia può essere accettata? Ma non c’è fine vita senza etica #adessonews

Ci sono parole di Rilke che interpretano bene lo spirito con cui si può scrivere oggi sulle questioni di fine vita, mettendo al centro dell’attenzione l’evento della morte come realtà che attraversa l’intera esistenza umana e che è parte costitutiva ed essenziale della vita. Dopotutto il processo del morire ha inizio al momento stesso della nostra nascita.

Scrive Rilke: «Signore, dà a ciascuno la sua morte: la morte fiorita da una vita in cui ha saputo amare, capire e soffrire».Il senso di paura e di angoscia, che caratterizza oggi l’esperienza di questo evento – paura e angoscia che spingono alla sua rimozione – è il sintomo di uno stato di malessere esistenziale proprio dell’odierna condizione umana.Per questo è in atto una svolta, non sempre chiara, alla cui portata hanno concorso una serie di episodi-limite ripetuti purtroppo con sempre maggiore frequenza.

Sono i casi strazianti di Welby e di Englaro che hanno dato il via a una catena di altri casi e che hanno suscitato (e suscitano) forti reazioni emotive (e non solo) nell’opinione pubblica con la richiesta dell’introduzione anche nel nostro Paese di dispositivi legislativi che consentano il ricorso all’eutanasia e al suicidio assistito. Ma occorre non fare di tutta l’erba un fascio e chi è passato in famiglia da queste strazianti esperienze sa quanto sia difficile giudicare e fare distinzioni nette. E comunque le questioni legate al fine vita sono sempre state oggetto in tutte le culture di particolare considerazione per le criticità (e la problematicità) che presentano, ma anche per la delicatezza che rivestono e, non raramente, per la drammaticità con la quale si manifestano.

Il dolore fisico e la sofferenza psicologica con cui si è chiamati in molte circostanze a fare i conti e soprattutto il confronto con l’evento della morte cui si va inevitabilmente incontro sono altrettanti motivi di inquietudine e, più radicalmente, di malessere esistenziale che si sperimenta spesso in modo lacerante. Le consistenti e rapide trasformazioni sociali e culturali intervenute soprattutto negli ultimi decenni (e tuttora in corso) hanno avuto (e hanno) pesanti ricadute sui vissuti quotidiani e sul costume, giungendo fino a modificare nell’immaginario collettivo la percezione di alcuni fenomeni di sempre, l’idea di morte in primis, che finiscono per assumere tratti del tutto inediti. Le cause di questa situazione sono diverse e di diversa natura.

Tre in particolare, che hanno un peso rilevante sul modificarsi della coscienza e sulla ricerca di nuove soluzioni: gli sviluppi delle tecnologie biomediche, l’affermarsi della dignità della persona umana e, infine (ma non ultimo in ordine di importanza), il difficile e nuovo rapporto con la morte. L’esigenza che allora affiora è quella di conciliare i limiti della vita biologica con il rispetto della dignità di ogni essere umano in ogni momento della sua esistenza.

Pertanto è un diritto decidere quando e come morire rendendo possibile il ricorso all’eutanasia, pur circoscritto ad alcuni casi e che esige per l’ammissibilità la verifica di condizioni rigorose, come indicava Küng, aggiungendo che per il credente c’è un’ulteriore ragione del consenso all’eutanasia (non ultima in ordine di importanza) ed è il fatto che egli vive nell’attesa della vita eterna dell’aldilà; una ragione che faceva dire a Bonhoeffer, andando incontro alla morte vittima del nazismo, «È la fine, per me l’inizio della vita».

Per questo la preghiera iniziale di Rilke rinvia alla richiesta di una morte che segni il compimento di una vita autentica, intessuta di amore, conoscenza e sofferenza. Una vita che, lungi dal rincorrere le cose che non contano, scadendo nella banalità e nel vuoto, coltivi e custodisca i sentimenti, che sono la ricchezza interiore dell’umano. In questa ottica sapienziale, che sa attribuire il giusto valore alle cose, le questioni di fine vita recuperano la loro corretta dimensione. E la morte, pur non venendo meno il carattere drammatico che l’accompagna, acquista un senso che la riscatta.

Il Festival

“Un’etica per il futuro” è il tema del Festival della dignità umana tra Novara, Arona e Borgomanero dal 28 settembre al 7 ottobre con Umberto Galimberti, Enzo Bianchi, Vito Mancuso e Carlo Cottarelli, tra gli altri, in ricordo del fondatore Giannino Piana.