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I crediti del defunto non si dividono automaticamente tra i coeredi #finsubito prestito immediato


I crediti del defunto non si dividono, automaticamente, tra i coeredi, così come accade, invece, per i debiti. (Nota all’Ordinanza della Cassazione Civile, Sez.I, n. 13163 del 14 maggio 2024). Per approfondimenti consigliamo il volume: Manuale pratico per la successione ereditaria e le donazioni

Corte di Cassazione -sez. I civ- ordinanza n. 13163 del 14-05-2024

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1. I crediti del defunto non sono soggetti a divisione automatica


I crediti del defunto non si dividono, automaticamente, tra i coeredi, così come accade, invece, per i debiti. Difatti, l’art. 752, c.c., ci rammenta che i debiti ereditari si dividono, automaticamente, una volta aperta la successione ed accettata l’eredità, in proporzione alle rispettive quote cui questi ultimi hanno diritto.
I crediti, invece, diversamente da quanto disposto dalla precitata norma, cadono in regime di comunione ereditaria.
Quindi, i crediti ereditari, ossia i crediti che il defunto poteva vantare nei confronti dei propri debitori, sono regolati dalle norme disciplinanti il predetto istituto giuridico.
Mette conto evidenziare, che essi, quantunque i crediti giammai si dividono automaticamente, nondimeno, una volta sciolta la comunione ereditaria a seguito della divisione, verranno ripartiti tra i coeredi in proporzione alle rispettive quote d’eredità.
A questo punto, par lecito interrogarci sulla ragione per la quale i crediti non sono divisi automaticamente, come, di contro, sancito per i debiti dall’art. 752, c.c. Per approfondimenti consigliamo il volume: Manuale pratico per la successione ereditaria e le donazioni

Manuale pratico per la successione ereditaria e le donazioni

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Riccardo Mazzon | Maggioli Editore 2024

2. I crediti cadono in comunione ereditaria


All’anzidetta conclusione si perviene tramite un’interpretazione sistematica che poggia, indi, sulla seguente riflessione, nel senso, cioè, che i crediti rappresentano un valore attivo della massa ereditaria, e, ciò, diversamente dai debiti che, di contro, ne rappresentano un valore passivo.
Ora, possiamo riflettere sul fatto che, al fine di dividere la massa attiva del patrimonio, aggiunte le eventuali donazioni fatte in vita dal defunto e sottratti i debiti, par necessario e coerente con la finalità dell’istituto che la quota di ciascun coerede sia composta in modo omogeneo.
Per giungere a tal risultato, pertanto, è necessario che gli elementi positivi del patrimonio siano considerati e valutati contestualmente, a tutte le altre poste attive.
La quota di ciascun coerede deve esser composta in modo omogeneo, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.
Ecco che, allora, tal riflessione riflette l’attuale orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte la quale è giunta alla conclusione traendola dall’interpretazione sistematica del combinato disposto degli artt. 752, 727, 757 e 760, del codice civile.

3. L’interpretazione sistematica e la necessità d’assicurare una composizione omogenea delle quote ereditarie


In disparte la prima delle precitate norme, l’art. 727, c.c., stabilisce che ciascuna quota degli eredi deve esser composta, anche dal punto di vista qualitativo, da crediti, oltre che da beni mobili ed immobili.
Sicché, la composizione di ciascuna quota dei coeredi, deve rispecchiare la composizione del valore complessivo degli assetti attivi presenti nel patrimonio del defunto.
Se, pertanto, il patrimonio attivo del defunto, è composto da immobili, mobili e crediti, ecco che, allora, in applicazione del principio dettato dall’art. 727, c.c., anche le singole quote degli eredi devono esser composte, in modo omogeneo, da immobili, mobili e crediti.
Si consideri, poi, che, a rafforzare il principio per cui le poste attive del patrimonio del de cuius devono essere preservate, fino alla liquidazione della comunione ereditaria e successiva divisione dei beni, vale il principio che i coeredi non sono chiamati a garantire l’insolvenza del debitore del credito che venga assegnato ad un erede. (Cfr. art. 760, c.c.).
Di talché, ciascun erede è considerato solo ed immediato successore in tutti e soltanto quei beni che compongono la sua quota in ragione della successione nei rapporti giuridici del de cuius.
Ecco, che, allora, dall’interpretazione sistematica delle prefate norme, si ricava la ragione per cui per dividere i beni componenti la massa attiva del patrimonio, è necessario che anche i crediti del defunto siano considerati insieme agli altri beni, mobili od immobili che siano, e, ciò, al fine di consentire, rammentandoci, per un momento, il disposto dell’art. 727, c.c., che, a seguito della divisione, che ciascuna quota attribuita all’erede sia omogeneamente composta.

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4. L’orientamento giurisprudenziale


Quanto, or, ora, esplicitato, riflette l’orientamento formatosi in seno alla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte nel 2007, la quale, a sua volta, ha sposato il principio di diritto innanzi espresso, enunciato colla sentenza n. 11128 del 13 ottobre 1992. (Cass. Civ., Sez. Un., Sent. n.24657 del 28 novembre 2007).
Con la pronuncia da ultimo menzionata, la Suprema Corte statuisce che i crediti del defunto, a differenza dei debiti, non si dividono automaticamente tra i coeredi in proporzione al valore delle loro quote, in quanto entrano a far parte della comunione ereditaria.
Evidenziando, come, d’altronde, già espresso in precedenza, che il mantenimento della comunione ereditaria, includente anche i crediti, fino alla divisione, assolve alla funzione di garantire l’integrità della massa attiva dei beni ereditari onde non compromettere il buon esito della divisione.
Con la suddetta pronuncia, il giudice dei diritti era stato chiamato sull’eventuale predicabilità o meno d’un litisconsorzio necessario tra i coeredi nell’intrapresa azione di pagamento dei crediti dovuti al de cuius.
In tal occasione, la Suprema Corte precisa che, considerato che i crediti cadono in comunione ereditaria, ogni coerede è legittimato ad agire per il soddisfacimento dell’intero credito, in quanto ciascuno di questi è legittimato ad agire nell’interesse della cosa comune, investendo il diritto d’ognuno l’intero valore del credito.
Certo quanto testé enunciato, il giudicante in questione perviene anche all’ulteriore conclusione che ciascun coerede può anche agire per il pagamento del credito ereditato nei limiti della propria quota d’eredità, senza che si renda necessario chiamare in giudizio tutti gli altri eredi, non dando luogo, per tal via, la detta azione d’adempimento, ad un litisconsorzio necessario.
Laddove il coerede agisca per la riscossione per dell’intero credito, l’evocato debitore giammai potrebbe opporsi all’esercizio dell’intrapresa azione creditoria, adducendo l’omessa integrazione del contradditorio con gli altri eredi, affinché anche questi ultimi manifestino la comune intenzione.
Tuttavia, la valutazione finalistica dell’intrapresa azione creditoria dell’erede, che sia chiamato a precisare se agisce per l’intero valore del credito ereditato nell’interesse comune oppure nei limiti della propria quota d’eredità, introdurrebbe una sorta di “surrettizzio” litisconsorzio nell’instaurato giudizio d’adempimento.
Con l’Ordinanza n. 27417 del 20 novembre 2017, la Suprema Corte precisa che la valutazione finalistica dell’intrapresa azione creditoria dell’erede, non richiede che, nel giudizio da questi promosso per la riscossione dell’intero valore del credito ereditato oppure nei limiti del valore della quota d’eredità, egli sia chiamato a manifestare l’intenzione se agisce o meno nell’interesse della cosa comune. (Cfr. Cass. Civ. Sez.VI – 2, Ord. n. 27417 del 20 novembre 2017).
Da un punto di vista squisitamente processuale, si osserva che gli effetti d’una pronuncia con la quale si accerta e condanna al pagamento del credito ereditato, giova anche agli altri eredi, né il debitore potrebbe opporsi invocando l’integrazione del contradditorio, salvo che tal esigenza sia da questi espressa al fine d’accertare l’esistenza del credito in confronto di tutti gli eredi.
A tal principio, si è conformata anche la giurisprudenza di merito, nel caso specifico, il Tribunale, in veste d’organo d’appello, che con la sentenza n. 2121 del 2018, ha confermato l’ingiunzione di pagamento emessa dal Giudice di Pace che riconosceva il diritto d’agire dell’erede, nei limiti della sua quota, per l’adempimento d’un credito ereditato, risultante dal saldo attivo d’un conto corrente intestato al de cuius, rigettando, all’uopo, l’eccezione dell’assenza del consenso degli altri coeredi formulata dall’ingiunto istituto di credito bancario nell’atto d’opposizione.(Trib. Treviso, Sezione civile, Sentenza n. 2121 del 29 ottobre 2018).
Ebbene, gli evocati principi di diritto, sono stati applicati anche dalla recente pronuncia della Suprema Corte con l’Ordinanza n. 13163 del 24 maggio 2024.
Facendo applicazione dell’elaborazione giurisprudenziale, quivi rassegnata, formatasi nelle controversie aventi ad oggetto il diritto degli eredi d’ottenere la liquidazione, anche pro quota, delle somme presenti sul conto corrente del defunto, la Suprema Corte con la pronuncia in commento statuisce che, in una controversia avente ad oggetto la liquidazione della quota d’una società di persone intestata al de cuius, ciascun coerede può agire anche per il pagamento integrale del corrispondente valore economico della quota di società ereditata, salvo, poi, il regresso formulato dagli altri eredi.
Invero, si chiarisce, che i rapporti patrimoniali interni tra i coeredi rimangono estranei al perimetro della tutela giudiziaria del diritto di credito azionato da uno di questi, e ciò in quanto i potenziali conflitti in seno all’eredità potranno esser risolti in sede di divisone dei beni.

5. Conclusioni


Rassegnando le pertinenti conclusioni, possiamo giungere, sulla base delle predette argomentazioni giuridiche, alle seguenti riflessioni.
Posto che il regime della successione si palesa come un fenomeno non soltanto giuridico, dalla rassegnata giurisprudenza possiamo apprendere anzitutto che i crediti ereditari non sono soggetti ad una automatica divisione, come accade, di converso, per i debiti.
La ragione d’un diverso trattamento di tali valori, si spiega con la necessità che le poste attive del patrimonio del defunto, quali, ad esempio, i crediti, siano considerati unitariamente, al fine di non pregiudicare l’esito della divisone dei beni.
In questa direzione, depone proprio il disposto normativo dell’art. 727, c.c., che introduce la composizione omogena della quota di ciascun erede.
Di, poi, abbiamo appreso che ciascun erede, considerato che i crediti cadono in comunione ereditaria, è legittimato ad agire per il pagamento dell’intero valore del credito ereditato, salvo l’esercizio dell’azione di regresso da parte degli altri coeredi, oppure soltanto per il valore della propria quota d’eredità.



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