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Salva Casa: pro e contro secondo i tecnici comunali #finsubito prestito immediato


Indice degli argomenti:

Di recente abbiamo visto le novità in materia di semplificazione edilizia, introdotte dal recente decreto Salva Casa (DL 69/24) che va a modificare in modo significativo numerosi articoli del DPR 380/01 o Testo Unico dell’Edilizia e inserisce deroghe al DM 144/68, mutando profondamente la normativa del settore delle costruzioni.

Vedremo oggi di approfondire il potenziale impatto del decreto, cercando di far chiarezza sugli aspetti più controversi della misura e le criticità emerse rispetto alla varietà di normative regionali e comunali con cui dovrà fare necessariamente i conti.

Salvatore di Bacco, Coordinatore del Comitato scientifico nazionale UNITELSalvatore di Bacco, Coordinatore del Comitato scientifico nazionale UNITELMa cercheremo anche di capire le prospettive di miglioramento della manovra, potenzialità e punti di forza, norma che sarà certamente oggetto di future correzioni/integrazioni (verosimilmente in corrispondenza della prossima legge di bilancio).

In attesa che vengano diramati chiarimenti e integrazioni ufficiali, ho incontrato Salvatore di Bacco, Coordinatore del Comitato scientifico nazionale UNITEL (Unione Nazionale Italiana dei Tecnici degli Enti Locali), ascoltato in audizione alla Camera dei Deputati durante la discussione per la conversione in legge (L. 105/24) del DL 69/24.

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In sua compagnia approfondiremo quegli aspetti di natura pratica, la reale applicazione del “SalvaCasa” nel territorio, grazie alla sua preziosa esperienza trentennale negli uffici tecnici comunali e non solo.

Partiamo subito dal cuore del decreto, il nuovo accertamento di conformità. La doppia conformità rimane per gli abusi più gravi, mentre sembra sparire per le sanatorie delle più lievi difformità. Ma, il Comune, ha l’obbligo di verificare la legittimità dei titoli pregressi. Molti temono quindi che cambi poco o nulla.

Lei cosa pensa, sarà più facile sanare gli abusi edilizi?

Una premessa è essenziale. L’importanza del decreto è testimoniata dai contenuti della relazione del MIT (Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti), secondo cui il Salva Casa interesserà l’80% degli immobili italiani che non hanno lo stato legittimo in regola con le normative. Tale percentuale equivarrebbe a stimare che i proprietari degli immobili interessati ammontano ad un considerevole numero: circa 50 milioni di italiani. Tali numeri evidenziano l’impatto del Salva Casa non solo da un punto di vista edilizio, ma anche e soprattutto economico/sociale equiparabile ad una legge costituzionale che interessa l’intera collettività.

Hai detto bene, l’art. 36 bis è il cuore del decreto, nonché l’articolo più complesso e delicato. Prima dell’entrata in vigore di tale norma, il procedimento verteva sulla dimostrazione della doppia conformità, di natura urbanistica ed edilizia sia al momento della realizzazione dell’abuso, sia alla presentazione della richiesta di sanatoria ex art. 36 T.U. edilizia. Invece con il DL Salva Casa, per gli abusi minori (parziali difformità e variazioni essenziali) viene sdoppiata la disciplina applicabile, quella urbanistica al momento della presentazione dell’istanza e quella edilizia al momento della realizzazione.

Sara ora più facile ottenere la conformità?

Uno dei nodi cruciali per ottenere la conformità edilizia, sarà quello di dimostrare l’epoca effettiva di realizzazione, ed in particolare la data esatta dell’abuso e/o difformità, la quale deve essere dimostrata non più da un punto di vista testimoniale (come era precedentemente), ma “documentata” così come prevede l’articolo 9 bis, comma 1 bis, tra cui atti pubblici o privati, estratti di mappa catastale, ortofoto, google maps e street view e fotografie dell’epoca. E tali informazioni non sono sempre facili da reperire, soprattutto quando la ricerca deve essere estesa lontana nel tempo.

Altra criticità è lo stabilire il perimetro della Disciplina Urbanistica e delle prescrizioni tecniche della disciplina edilizia. Il confine tra le due discipline è molto labile e non ben perimetrato, con rischio di sconfinamenti nell’una e nell’altra.

Di difficile definizione risulta la ‘disciplina urbanistica’ che potrebbe ricomprendere tutti gli strumenti pianificatori sovraordinati, territoriali, settoriali, di ogni livello e i piani regolatori comunali ma anche le norme sull’attività costruttiva. Infatti, la legge fondamentale urbanistica la 1150/1942 è assorbente anche dell’attività edilizia e ne fa espresso riferimento. Risulta necessario chiarire il significato delle due discipline affinché tutti gli attori coinvolti nei procedimenti di sanatoria siano in grado di definirne i percorsi amministrativi e tecnici.

Silenzio assenso. In audizione alla Camera lei ha dichiarato che “il cambio di paradigma dal silenzio rifiuto delle istanze di sanatoria (oggi in vigore non dimentichiamocelo), al silenzio assenso previsto dal decreto può instaurare una nuova forma di provvedimento implicito con probabili profili condonatori, dovuti all’impossibilità del rispetto da parte degli uffici tecnici comunali, dei nuovi termini prescrittivi per l’esame delle istanze di cui all’art. 36 bis di nuova formulazione.”

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Siamo in presenza di un nuovo condono?

C’è un notevole rischio che la procedura del silenzio assenso porti (stante il poco tempo a disposizione inserito nella norma per l’istruttoria delle pratiche 45 giorni per il pdc e 30 per le scia) alla quasi totale formazione di titoli impliciti, con carattere non provvedimentale, contenenti dei profili condonatori. Questo potrebbe portare paradossalmente ad un aumento del contenzioso amministrativo/giudiziario, con rilievi, talvolta, anche penali. È necessaria una rimodulazione del silenzio assenso anche in analogia a quanto oggi già previsto dall’art. 36.

La maggior parte degli uffici tecnici comunali sono sottodimensionati e con poche risorse umane. A volte nei piccoli comuni e borghi c’è solo un tecnico, presente in sede una volta a settimana, il quale deve gestire in perfetta solitudine tutte le pratiche di sanatoria e di regolarizzazione che arriveranno massivamente. È facile immaginare come sia quasi impossibile, con la carenza d’organico degli enti locali, istruirle. C’è il rischio di sanatorie formatesi per silenzio assenso. E, in alcuni casi, potrebbe contenere degli abusi edilizi sostanziali che non emergono in quanto non controllati dall’istruttore. È da ricordare che la norma prevede che l’ufficio tecnico non può più intervenire trascorsi i termini perentori per il loro esame.

Qual rischio si corre, se vengono sanati degli abusi sostanziali?

Esiste oggettivamente un rischio che il titolo formatosi per silenzio assenso possa essere annullato in autotutela da parte dell’ufficio, se dovesse essere verificata – entro i 12 mesi successivi alla sua presentazione – l’assenza dei necessari requisiti di conformità fin dall’origine. Con tutte le conseguenze derivanti da tale annullamento che ricadrebbero sui proprietari di casa, ad esempio ordinanze di demolizione o rispristino dello stato dei luoghi, ordinanze di sgombero dell’immobile, denunce alle autorità giudiziarie e agli ordini professionali.  

Cambiamenti di destinazione d’uso. Il decreto Salva Casa stravolge completamente l’articolo 23-ter.Salvo il rispetto delle normative di settore e degli strumenti urbanistici comunali, è ora sempre consentito il cambio di destinazione d’uso anche con opere della singola unità…”, anche “tra categorie funzionali diverse come residenziale, turistico-ricettiva, produttiva e direzionale e commerciale nelle zone omogenee A, B e C”.

Significa che è sempre possibile il cambio d’uso, o dipenderà tutto dalle regioni?

Le regioni adeguano la propria legislazione ai princìpi generali validi su tutto il territorio nazionale, ma gli stessi principi trovano in ogni caso applicazione diretta, fatta salva la possibilità per le regioni medesime di prevedere livelli ulteriori di semplificazione. Le leggi regionali possono prevedere solo livelli di semplificazione ulteriore, ma la norma del salva-casa non può essere modificata in modo radicale dalla regione.

Per le singole unità immobiliari, il cambio di destinazione d’uso è sempre consentito, ma resta la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni, come la conformità del mutamento di forma a quella prevalente nelle altre unità immobiliari presenti nell’immobile. Inoltre il decreto prevede una differenziazione per le unità immobiliari poste al primo piano fuori terra o seminterrate, rinviando alla legislazione regionale la possibilità di poter effettuare tali mutamenti.

Di estrema rilevanza, invece la non assoggettabilità all’obbligo di reperimento di aree per servizi di interesse generale previsto dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 e dalle disposizioni di legge regionale, né al vincolo della dotazione minima obbligatoria dei parcheggi previsto dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150.

Perché è preoccupante la deroga agli standard urbanistici?

La non assoggettabilità all’obbligo di reperimento degli standard urbanistici previsti dal DM 1444/68, ovvero di aree per servizi di interesse generale e al vincolo della dotazione minima obbligatoria dei parcheggi può portare ad una congestione dei centri urbani e delle metropoli con un aumento esponenziale del traffico e della carenza di parcheggi e di polmoni con aree a verde necessarie per far respirare la città.

L’indifferenza funzionale voluta dal legislatore per alcune zone omogenee può portare ad un aumento notevole del traffico cittadino e a creare delle zone dove tali mutamenti d’uso senza il rispetto degli standard può creare disagi sociali del vivere collettivo.

Auspicate un ripensamento, rispetto al carico urbanistico?

L’urbanistica è una disciplina che si occupa della pianificazione e gestione dello spazio urbano, e il carico urbanistico rappresenta uno degli aspetti più critici in questo ambito. Si tratta della capacità di un’area di sostenere lo sviluppo edilizio e le relative infrastrutture senza compromettere la qualità della vita dei suoi abitanti. La legge “Salva Casa”, ha portato significative novità in termini di indifferenza funzionale, ovvero la possibilità di cambiare la destinazione d’uso di un’unità immobiliare con o senza opere, facilitando così il recupero del patrimonio edilizio esistente. Tuttavia, questa semplificazione normativa ha suscitato diverse critiche.

Da un lato, la legge è stata accolta come un passo avanti verso la flessibilità e l’adattabilità delle strutture urbane alle mutevoli esigenze della società. D’altra parte, esperti e urbanisti hanno espresso preoccupazioni riguardo al rischio di un aumento indiscriminato del carico urbanistico, senza un adeguato incremento di servizi e infrastrutture, come parcheggi e aree verdi, che potrebbero portare a una diminuzione della qualità urbana. Inoltre, la questione degli oneri di urbanizzazione, ovvero i costi che i proprietari di immobili devono sostenere per contribuire allo sviluppo delle infrastrutture urbane, è diventata ancora più complessa. La giurisprudenza ha stabilito che il pagamento di tali oneri è connesso all’aumento del carico urbanistico determinato dal nuovo intervento edilizio, ma con la nuova legge, la valutazione di questo incremento risulta meno chiara.

Il Decreto, introducendo il principio dell’indifferenza funzionale, ha fatto emergere interrogativi sulla sua capacità di bilanciare le esigenze di flessibilità con quelle di controllo e regolamentazione del carico urbanistico. Alcuni sostengono che la liberalizzazione degli usi possa avere effetti negativi sulla disciplina urbanistica, limitando i poteri dei Comuni nella regolazione degli spazi urbani e potenzialmente conducendo a una pianificazione meno equilibrata e sostenibile.

In conclusione, mentre il Decreto rappresenta un tentativo di rispondere al crescente fabbisogno abitativo e soprattutto di promuovere il recupero del patrimonio edilizio, le sue implicazioni sul carico urbanistico e sulla qualità della vita urbana richiedono invece un’attenta valutazione. È fondamentale che queste nuove idee trasfuse nel Salva Casa siano accompagnate da strategie di pianificazione che considerino l’equilibrio tra sviluppo e sostenibilità, garantendo che ogni cambiamento contribuisca positivamente al tessuto urbano e al benessere dei cittadini.

Recupero dei sottotetti. Il Salva Casa introduce all’art. 2 bis, il comma 1-quater che “consente, alle condizioni individuate, il recupero dei sottotetti, nei limiti e secondo le procedure previste dalla legge regionale, anche quando l’intervento di recupero non consenta il rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini”.

Via libera alla vita sui tetti?

Il recupero dei sottotetti a fine abitativo in Italia ha subito significative modifiche legislative con l’introduzione della Legge n. 105/2024, che ha convertito il Decreto Legge n. 69/2024, noto come “Salva Casa“. Questa legge ha introdotto nuove disposizioni che permettono il recupero dei sottotetti anche in assenza del rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, a patto che siano rispettati i limiti di distanza vigenti all’epoca della realizzazione dell’edificio e che non siano apportate modifiche alla forma e alla superficie del sottotetto. Inoltre, la legge stabilisce che gli interventi di recupero devono rispettare l’altezza massima dell’edificio consentita dal titolo edilizio originale. Queste novità legislative mirano a incentivare l’ampliamento dell’offerta abitativa e a limitare il consumo di nuovo suolo, facilitando la trasformazione dei sottotetti in spazi abitabili. Tuttavia, è importante notare che le leggi regionali possono avere disposizioni più favorevoli, che restano prevalenti rispetto alla normativa nazionale.

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In sostanza, cosa cambia rispetto a prima?

In sostanza non cambia assolutamente nulla perché il decreto rinvia alle leggi regionali che hanno già disciplinato il recupero e il riutilizzo dei locali accessori insistenti nei sottotetti.

La novità che viene sottolineata è la deroga prevista, anche quando l’intervento di recupero non consenta il rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini. Facciamo un esempio, per chiarire il concetto della norma. Prendiamo il caso di un edificio costruito negli anni ’60, quindi anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 9 del d.m. 1444 del 1968 che imponeva la costruzione degli edifici dotati di parete finestrata a distanza non inferiore a 10 metri. All’epoca, fu costruito a distanza di 5 metri dal confine e a 6 metri da un edificio prospiciente, in assoluta conformità delle allora vigenti norme sulle distanze. Sebbene oggi lo stesso edificio non sia conforme alle attuali normative, grazie al Salva Casa si può recuperare il sottotetto con aperture di finestre anche se non rispettano le norme vigenti.

Parziali difformità e variazioni essenziali. Il testo Unico ne fissa i requisiti generali, ma pare demandato alle regioni il tracciamento dei confini operativi. Le parziali difformità sembrano più gravi delle tolleranze costruttive e più lievi delle variazioni essenziali. Il TUE non ne dà però una definizione inequivocabile. Come fare? Cosa si può sanare?

Saranno le regioni a deciderlo a loro discrezione?

Priorità assoluta dell’accertamento di conformità è la definizione delle Parziali Difformità e Variazioni Essenziali su cui si basa l’intero decreto, definizione che non può prescindere dalle articolazioni delle varie definizioni delle leggi regionali dotate della potestà legislativa concorrente dell’art. 117 della costituzione. Oggi non esiste all’interno del Testo Unico dell’Edilizia tale definizione se non qualche accenno sulla relazione accompagnatoria al decreto che stiamo analizzando. Tali definizioni di patologia edilizia devono avere la loro unità nazionale anche alla luce dell’urgenza sottolineata dal decreto ed è necessario che tali definizioni siano applicate in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale e non nelle variegate definizioni delle normative regionali. È necessario evitare disparità di trattamento differenziato che potrebbe raggiungere addirittura limiti notevolmente differenti tra le stesse Regioni.

Ad ogni buon conto, in attesa della riforma costituzionale sulla legislazione concorrente, ad oggi sono in vigore i principi generali previsti dall’articolo 32 del T.U. dell’edilizia: sulle variazioni essenziali include ad esempio, alla lettera a del comma 1, l’aumento consistente di cubatura senza però definirne il parametro quantitativo. Tale definizione è rinviata alle regioni, alle quali spetta il compito di disciplinarne la percentuale. Il risultato è che, alcune regioni hanno determinato il perimetro massimo degli ampliamenti al 20% (Emilia Romagna) ed altre al 2% (Lazio). Tutto ciò crea delle disuguaglianze, talvolta determinanti per sanare degli abusi, creando non solo una disparità di trattamento edilizio, ma anche di equità sociale con regioni più restrittive e altre più “generose”.

Qual è il rischio di questo “federalismo” edilizio?

Questo federalismo altamente differenziato e competitivo fa emergere dei profili sfumanti di incostituzionalità della stessa norma proprio alla luce di una non perequazione di trattamento tra i cittadini italiani che potrebbe sfiorare una violazione dell’articolo 3 della Costituzione.

Alcune regioni addirittura non sono dotate nel loro carnet legislativo di una norma che delinea e definisce le parziali difformità e le variazioni essenziali. Da un recente rapporto di censimento effettuato dall’Ance emerge che tre regioni italiane si trovano oggi in questa imbarazzante situazione: Abruzzo, Molise e Campania. Paradossalmente il decreto non sarebbe applicabile proprio poiché manca un parametro quantitativo necessario per avviare l’iter di presentazione delle istanze di accertamento di conformità.

Molti invocano la necessità di avere modelli unificati per le sanatorie. Lei ha dichiarato che, “sebbene il decreto sia già operativo, oggi paradossalmente tutto quello che si sta presentando nei vari comuni è illegittimo perché manca la modulistica obbligatoria a livello nazionale.

Perché?

Primaria è la necessità che il Governo si adoperi per l’aggiornamento della modulistica unificata nazionale indispensabile per avviare i procedimenti previsti. Successivamente le regioni dovranno recepirle ed adeguarle e, in ultimo, i Comuni avranno l’obbligo di utilizzarla e divulgarla.

Ci si aspettava che nell’arco di qualche settimana il MIT iniziasse il percorso di adeguamento, ma ad oggi non giungono news sul tema. La situazione è imbarazzante. Si ricorda che in Conferenza Unificata stato, regioni, comuni del 4 maggio 2017, sono stati adottati i moduli unificati e standardizzati in materia di attività edilizia, nonché le relative istruzioni operative sull’utilizzo della nuova modulistica rendendoli obbligatori.

Non avere la modulistica unificata cosa comporta?

Senza la modulistica aggiornata i Comuni si trovano nell’incapacità di gestire i nuovi procedimenti edilizi previsti nel Salva Casa. L’importanza dell’utilizzo di tale modulistica e della sua valenza giuridica, anche alla luce delle attestazioni e asseverazione di legge da parte dei richiedenti e dei professionisti, è da ritenersi fondamentale per l’avvio del Salva Casa.

Gerarchia delle normative edilizie. Che impatto ha e può avere il DL Salva Casa rispetto alle normative edilizie ed urbanistiche regionali vigenti e ai PRG comunali? E, che tipo di interventi legislativi sono auspicabili in tal senso?

Le Regioni hanno potestà legislativa concorrente sui temi del governo del territorio e in particolare dell’edilizia. Ogni regione ha la propria legge che a volte, se non spesso, determina, come abbiamo già visto sopra, una diversità applicativa sia sui parametri quantitativi che qualitativi creando disparità tra cittadini delle diverse regioni. Questo non è condivisibile: a mio avviso è necessario tornare all’unita nazionale e alla sua omogeneità, riformando l’art. 117 della costituzione va contro l’art. 3 della stessa, per cui ogni cittadino deve essere uguale. Ma tant’è.

L’impatto è purtroppo inevitabile in termini di adeguamento e conformazione da parte del variegato panorama delle leggi regionali rispetto alle modifiche apportate al testo unico da parte del Salva Casa, conseguentemente anche i PRG/PGT non potranno non adottare alcuni opportuni aggiustamenti in particolare nelle relative norme tecniche.

Ora, anche tale inevitabile (ed inutile, anzi controproducente) complicazione che nasce da questa situazione è originata dalle attuali previsioni del terzo comma dell’art.117 della Costituzione che indica il governo del territorio nell’elenco delle materie di “legislazione concorrente.

Come tornare all’unità nazionale in materia edilizia?

Se si vuole una unità nazionale con coerenza anche legislativa, il Governo deve assumersi la responsabilità di modificare tutto ciò e fare una riforma costituzionale. Il governo del territorio e la rigenerazione urbana sono politiche che devono essere di unità nazionale, dobbiamo tornare ad una omogeneità di intenti senza la quale la tanto auspicato rigenerazione urbana del nostro territorio rischia di non decollare.

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Che fare? Approvare una riforma costituzionale che modifichi l’art.117 togliendo tale materia dall’elenco del terzo comma e inserendola, nel primo comma del 117, in quello delle materie in cui lo Stato ha “legislazione esclusiva. Facile a dirsi, ma difficile a farsi, se manca la volontà politica.

 

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