In un contesto globale che punta a ridurre le emissioni di gas serra e promuovere la sostenibilità ambientale, con guerre di posizione – per esempio fra l’Europa che fissa date per il taglio delle emissioni e i produttori di auto che chiedono proroghe, pena la morte del settore automotive -, i sussidi o incentivi giocano un ruolo cruciale. Tuttavia, come sottolineato da un recente studio pubblicato su Science, riportato dall’agenzia GEA, è necessario prestare molta attenzione nell’implementazione di tali agevolazioni, poiché potrebbero celare insidie capaci di alterare le dinamiche di mercato e compromettere gli obiettivi stessi che intendono promuovere. Un incredibile paradosso. Vediamo perché.
Il rischio dei sussidi che penalizzano il mercato
Un gruppo di economisti e ricercatori avverte che i sussidi, anche quelli considerati “green”, possono distorcere il mercato, portando a conseguenze non desiderate. Gli incentivi progettati per favorire la transizione energetica e ridurre l’impatto ambientale, infatti, rischiano di mantenere a lungo attivi sussidi dannosi. Questo fenomeno non solo riduce l’efficacia dei meccanismi di mercato, ma può anche rallentare gli investimenti in tecnologie e infrastrutture realmente sostenibili.
Secondo gli autori dello studio, le agevolazioni sono sicuramente uno strumento potente per favorire gli obiettivi di sostenibilità. L’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti, approvata nel 2022, è un chiaro esempio di questo approccio. Grazie a crediti d’imposta e sussidi per veicoli elettrici e fonti di energia rinnovabile come solare ed eolica, gli USA mirano a promuovere l’uso di energie pulite e migliorare l’efficienza energetica. Tuttavia, pur rappresentando un mezzo politicamente più semplice rispetto all’introduzione di nuove leggi o tasse, i sussidi possono nascondere effetti collaterali che necessitano di maggiore considerazione.
Veicoli elettrici: un’arma a doppio taglio?
Tra i principali esempi citati dallo studio vi sono i sussidi destinati all’acquisto di auto elettriche, quelli che stanno facendo scontrare produttori e rispettivi governi. Sebbene questi incentivi abbiano dimostrato di ridurre le emissioni di gas serra, esiste un lato negativo: rendendo le auto più economiche e accessibili – al momento, si sta ragionando in termini teorici: a meno che, con il limite fissato dall’Europa al 2035 per il motore endotermico, restino solo queste -, incentivano l’uso del mezzo privato a scapito del trasporto pubblico. In pratica, l’incentivazione potrebbe risultare in un paradosso: più auto elettriche sulle strade, meno trasporti pubblici, e quindi un impatto ambientale globale che resta significativamente elevato.
Gli autori dello studio suggeriscono una strategia alternativa: investire i sussidi nelle infrastrutture del trasporto pubblico per ridurre la dipendenza dalle auto private. In questo modo, l’impatto positivo sulla sostenibilità ambientale sarebbe molto più marcato e duraturo.
Sussidi “dannosi” e un cambiamento rinviato
Secondo alcuni economisti e ambientalisti, diversi sussidi attualmente in vigore negli Stati Uniti contribuiscono attivamente al degrado ambientale. Gli incentivi agli input agricoli, per esempio, sono responsabili del 17% dell’inquinamento da azoto e contribuiscono alla deforestazione globale. L’esempio più eclatante è quello dei sussidi destinati alla pesca: nel 2018, quasi il 70% dei 35,4 miliardi di dollari di incentivi è stato impiegato per l’acquisto di carburante e investimenti in infrastrutture che hanno accelerato il fenomeno della pesca eccessiva.
Nonostante l’impegno del G20 a eliminare gradualmente i sussidi per i combustibili fossili, nel 2022 erano ancora attivi circa 1.300 miliardi di dollari di incentivi a favore di questo settore. Le pressioni politiche da parte delle aziende beneficiarie hanno infatti reso difficile abrogare tali agevolazioni, ostacolando il passaggio a un sistema energetico più sostenibile.
L’efficacia delle tasse sulle emissioni: un’alternativa ai sussidi
Secondo la professoressa Kathleen Segerson, esperta in economia ambientale, una soluzione più efficace sarebbe tassare le attività che producono effetti negativi, come le emissioni di carbonio. La cosiddetta carbon tax rappresenta uno strumento diretto e mirato per ridurre l’inquinamento. Ed è l’equivalente delle sanzioni con cui si intende colpire i produttori di auto che non riescano a raggiungere la percentuale di taglio di emissioni stabilita: si calcola che, nel 2025, i grandi costruttori europei possano dover pagare qualcosa come 15 miliardi di euro di multe.
Tuttavia, la sua attuazione si scontra spesso con resistenze politiche e l’opposizione di specifici gruppi di interesse. O, più semplicemente, di analisti o operatori sul mercato: in Gran Bretagna, dove il governo ha fissato una quota minima di veicoli elettrici da vendere, i costruttori – compresa Stellantis – hanno già dichiarato che il mercato non è in grado di assorbirli, a queste condizioni di prezzo.
I sussidi o incentivi, quindi, rimangono una strategia di compromesso, ma è essenziale che siano limitati nel tempo per evitare che diventino una dipendenza a lungo termine, avvertono gli studiosi su Science.
Obiettivi green e mercato
I sussidi possono essere un importante motore di cambiamento verso un’economia più verde, ma come sottolineato dal gruppo di ricerca, è fondamentale che vengano progettati e implementati con cautela. Le agevolazioni fiscali devono essere temporanee, con una scadenza ben definita, per evitare di perpetuare dinamiche dannose sia per il mercato che per l’ambiente. Ma a fronte di questo ci sono le esigenze fissate dal mercato – e si sa che, in economia, alla fine è il mercato che detta legge – per le industrie ma anche per i consumatori e le famiglie. Soprattutto queste ultime, in molti casi, non sono in grado di affrontare le spese per una transizione energetica – installazione pannelli solari, cambio delle caldaie negli appartamenti e via dicendo – senza un sostegno adeguato, anche a livello fiscale.
La sfida è complessa: occorre trovare il giusto equilibrio tra incentivare l’innovazione e la sostenibilità senza alterare in modo irreparabile il funzionamento del mercato. L’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti rappresenta un primo passo importante, ma è da capire quanto sia effettivamente un modello praticabile per altre realtà, in primis quella italiana dove, autoveicoli a parte, la gran parte dell’energia è ancora prodotta da risorse fossili.
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