Per la festa dei nonni, caduta in settimana (usanza a dir poco giovane, giacché, che io ricordi, ai miei tempi non esisteva), il governo Meloni ha pensato bene di premiare come nonni dell’anno una giovane coppia veronese sotto i quaranta. Tralasciando sulla necessità di queste bislacche ricorrenze che non tengono conto di chi non ha nulla da celebrare poiché la madre, il padre o i nonni non li ha più, è davvero singolare la mossa del governo che, tramite il presidente della Camera Fontana, ha parlato di “esempio positivo”. Lungi da me giudicare i due giovani nonni, che appaiono a prima vista anche simpatici, lungi giudicare, invero, la vita di chiunque, perché della vita degli altri sappiamo nulla, mi chiedo però perché definirlo esempio positivo.
Il pensiero ricorre ovviamente al ventennio fascista, nel quale le mamme che davano alla patria molti soldati da sacrificare sull’altare dell’onore erano premiate con la medaglia. C’è, e ci sarà sempre, nella destra, l’attaccamento a concetti e credi obsoleti e vuoti di significato: casa, famiglia, patria. Delle tre, mi si permetta, l’unica che conserva un valore intrinseco è la casa, se la intendiamo come il luogo nel quale ci sono le persone che amiamo, quelle che ci amano. La famiglia, invece, è sempre più un rebus, sempre più disfunzionale; in famiglia accadono le brutture e le violenze, come, ahimè, vediamo ogni giorno con la cronaca. Patriottici, infine, non lo siamo stati mai, esistiamo da poco come nazione e non ci definirei né uniti, né orgogliosi del nostro passato. È tutto un ben vedere, quindi, la dialettica del figliare a oltranza poteva forse, e dico forse, andar bene ai tempi del Duce, ché la gente moriva presto, ma ora, che nel mondo siamo otto miliardi e di spazio non ce n’è più, ora che le risorse della Terra per l’anno in corso si esauriscono a luglio, motivo per cui il secondo semestre siamo ogni volta costretti ad attingere alle riserve, oggi che per i ragazzi il futuro appare sempre più nebuloso, che senso ha spingere antiche tradizioni? Che si pensasse a offrire un domani ai giovani, che li si aiutasse a non essere sfruttati, a non dover studiare vent’anni per poi fare i disoccupati, che si investisse su di loro e per loro, anziché premiarli perché figliano.
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