Riesi – Niente sconti, nell’ultimo passaggio in Cassazione, a una condanna per omicidio. La conferma della sentenza d’appello ha reso definitivo il verdetto.
Quello emesso nei confronti del quarantottenne di Riesi , Salvatore També – assistito dagli avvocati Mirko La Martina e Simona Giannetti – nei confronti del quale la Suprema Corte ha cristallizzato la condanna a 22 anni di carcere.
Sì, perché è stato ritenuto tra coloro che erano presenti al momento dell’agguato all’albanese Astrit Lamaj i cui resti, sei anni dopo la sua uccisione, sono stati trovati nel gennaio 2019 in un pozzo artesiano di una villetta di Senago, nel Milanese.
E nei confronti dei suoi quattro familiari che si sono costituiti parte civile – assistiti dagli avvocati Gabriele Terranova e Attilio Villa – era già stato riconosciuto il diritto a un risarcimento.
Secondo la tesi accusatoria Tambè sarebbe stato tra coloro che hanno immobilizzato la vittima, mentre altri lo strangolavano con un filo di nylon. Ma lui, l’accusato, ha sempre gridato forte la sua innocenza tacciando come «false e animate solo da rancore» le accuse che il pentito riesino Carmelo Arlotta ha mosso nei suoi confronti. Sì perché lo ha tirato in ballo per questo delitto mentre il fratello, Angelo Arlotta, pure lui collaboratore di giustizia, ha tirato fuori da questa vicenda lo stesso Tambè il quale, peraltro, ha più volte lamentato come, durante i processi fin qui celebrati a suo carico, non siano state tenute in considerazioni diverse prove che lo avrebbero scagionato.
Tra intercettazioni, contraddizioni tra i racconti di pentiti e versioni che sarebbero state mutate nel tempo. E il riferimento dell’accusato, in tal senso, sarebbe sempre nei confronti di Carmelo Arlotta che in una delle tante intercettazioni gli avrebbe anche dato del «traditore» e tanto altro ancora.
Tambè, peraltro, aveva anche presentato una denuncia nei confronti di un pm di Monza, «ma è stata archiviata dopo appena dieci giorni», ha sottolineato lo stesso riesino che, nel concreto, continua a dipingersi come «vittima della giustizia».
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