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Proroga delle sanzioni ai beni russi, l’Ue non trova la quadra #finsubito prestito immediato


La storia più o meno è sempre la stessa: Budapest dice no. Questa volta però lo scenario è più complicato, perché ci vanno di mezzo anche gli interessi degli Usa. Il terreno di scontro è il prestito da 50 miliardi di dollari all’Ucraina deciso in ambito G7, peraltro proprio su impulso di Washington.

Budapest si mette di traverso

L’Ungheria fin da subito ha espresso riserve – atteggiamento standard quando si tratta di sostenere Kiev – e dunque la Commissione Europea ha ideato un meccanismo per aggirare il possibile veto di Viktor Orban. In sintesi, paga l’Ue. Ma le conseguenze politiche potrebbero essere rilevanti. Facciamo un passo indietro.

La proposta dell’esecutivo prevede la costituzione di un veicolo finanziario che emetterà il finanziamento a Kiev con a garanzia gli asset della Banca Centrale russa immobilizzati in Europa. Una scatola, diciamo. Per riempire la scatola servono soldi. Regno Unito, Canada e Giappone ci metteranno fra loro 10 miliardi di dollari. Gli Usa, 20. E l’Ue il resto (dunque altri 20). Gli Stati Uniti però chiedono che le sanzioni agli asset russi bloccati sui conti della belga Euroclear durino 36 mesi e non 6 come ora. C‘è una ragione e la spiegheremo dopo. Per farlo, però, serve l’unanimità. E l’Ungheria non ci sta. “Non c’è al momento il consenso sul punto”, conferma un’alta fonte europea.

Riunione martedì

I primi ad affrontare il nodo di petto, martedì prossimo, saranno i ministri delle Finanze riuniti nell’Ecofin, sperando di trovare un accordo in tempo per il Coreper del giorno dopo (ovvero il direttorio dell’Ue, dove siedono i 27 ambasciatori dei Paesi membri). Nessuno, però, si aspetta davvero una svolta. Perché a decidere è sempre e solo lui, Orban. E qui torniamo all’escamotage della Commissione. L’Ue metterebbe sul piatto “fino a 35 miliardi di euro” usando come garanzia il bilancio comunitario, aggirando il veto di Orban e coprendo la quota degli Usa (per l’operazione serve solo la maggioranza qualificata). Fin qui, la finanza creativa. I restanti 26 però non ci stanno.


Keystone
Viktor Orban

La presidenza di turno (ungherese) lascia intendere che “prestito e sanzioni” viaggino su due binari separati ma, stando a diverse fonti diplomatiche, non è così. La logica è a “pacchetto”, tutto si deve tenere. “Un conto è l’Europa e gli Usa che si muovono insieme, un altro l’Europa da sola”, spiega un diplomatico. Senza infatti l’ok alla proroga delle sanzioni, l’America contribuirà con una quota molto minore (forse irrilevante). Senza garanzie sufficienti sulla durata dell’immobilizzazione degli asset, infatti, la Casa Bianca dovrebbe passare dal Congresso, si spiega, per autorizzare il prestito da 20 miliardi e ora come ora non è cosa.

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Attendismo di Orban

Orban, alquanto apertamente, vuole aspettare le elezioni e vedere se Donald Trump la spunta. Mossa, quindi, squisitamente politica. Ecco perché è molto probabile che l’intera vicenda finisca sul tavolo dei leader in occasione del vertice del 17-18 ottobre. “Fin dove si spingerà il premier ungherese?”, si chiede una fonte a conoscenza delle trattative. Ora che i negoziati sulle conclusioni del Consiglio Europeo entrano nel vivo i Paesi dovranno scoprirsi e l’Ungheria finirà sotto pressione. “Speriamo anche da parte di Washington”, confessa un diplomatico. Insomma, qui non si tratta più (solo) di Unione Europea divisa, che è un po’ il suo habitat naturale. Ma Orban contro Biden. Il che è alquanto diverso.



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