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Vivere in paese a fiscalità privilegiata: rischi e problematiche #adessonews

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Nell’ipotesi in cui un cittadino italiano si trasferisca per motivi di lavoro in un paese a fiscalità privilegiata, alle dipendenze di un datore di lavoro locale, si pongono delicati problemi in merito all’individuazione della residenza fiscale, e al trattamento dei redditi da lavoro dipendente conseguiti.

La residenza fiscale in paese a fiscalità privilegiata

Per quanto riguarda la residenza fiscale, la stessa deve essere determinata per l’intero periodo di imposta considerato, in base alle disposizioni dell’art. 2 del DPR n. 917/86 (TUIR), tranne le ipotesi di (“split-year“). Tale disposizione al comma 2-bis considera fiscalmente residenti in Italia, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in stati o territori a fiscalità privilegiata individuati dal D.M. 4.5.1999.

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Come chiarito dalla Circolare n. 140/E/1999 dell’Agenzia delle Entrate, il lavoratore dipendente può dimostrare in modo ampio l’esistenza di fatti e atti che giustifichino l’effettività della situazione conclamata formalmente attraverso la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente (e la concomitante iscrizione AIRE), in coerenza con l’assunzione di un reale e duraturo rapporto con lo stato di immigrazione e con l’interruzione di significativi rapporti con lo Stato italiano.

In pratica, il contribuente può utilizzare qualsiasi mezzo di prova di natura documentare o dimostrativa, atto a stabilire, tra gli altri:

  • La sussistenza della dimora abituale nel paese a fiscalità privilegiata, sia personale che dell’eventuale nucleo familiare (la presenza con l’espatriato della famiglia è fondamentale nei casi di trasferimento di residenza all’estero);
  • L’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del paese estero (anche in questo punto si vede quanto la presenza della famiglia sia fondamentale);
  • La stipula di contratti di acquisto o di locazione di beni immobili residenziali adeguati ai bisogni abitativi nel paese di immigrazione;
  • Fatture e ricevute di erogazione di gas, luce, telefono e di altri canoni tariffari, pagati nel paese estero.

In assenza di queste prove contrarie, la residenza fiscale viene individuata per presunzione di legge in Italia, salva l’applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi eventualmente stipulati tra l’Italia ed il paese estero, al fine di evitare l’attribuzione di una doppia residenza fiscale, qualora, in base alla normativa locale, si siano verificati i presupposti per essere considerati fiscalmente residenti anche nel paese a fiscalità privilegiata.

I paesi a fiscalità privilegiata per la residenza delle persone fisiche

I paesi a fiscalità privilegiata per la residenza delle persone fisiche sono indicati dal D.M. 4 maggio 1999 che è stato nel corso degli anni ripetutamente modificato. In particolare, il decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze del 12 febbraio, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2014, ha introdotto modifiche al decreto 4 maggio 1999. Gli stati a fiscalità privilegiata ai fini IRPEF, secondo le modifiche apportate dal citato decreto, sono quelli indicati nell’articolo 1 del D.M. che di seguito possiamo vedere sotto forma di tabella.

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Alderney Andorra Antigua e Barbuda
Antille Olandesi Aruba Bahama
Bahrein Barbados Belize
Bermuda Brunei Costa Rica
Dominica Emirati Arabi Uniti Ecuador
Filippine Gibilterra Gibuti
Grenada Guernsey Hong Kong
Isola di Man Isole Cayman Isola Cook
Isole Marshall Isole Vergini Britanniche Jersey
Libano Liberia Liechtenstein
Macao Malaysia Maldive
Mauritius Monserrat Nauru
Niue Oman Panama
Polinesia Francese Principato di Monaco Sark
Seicelle Singapore Saint Kitts e Nevis
Saint Lucia Saint Vincent e Grenadine Taiwan
Tonga Turks e Caicos Tuvalu
Uruguay Vanuatu Samoa

Rischi e problematiche della residenza in paese a fiscalità privilegiata

Il trasferimento di residenza fiscale in un paese non collaborativo, come detto, comporta l’applicazione della presunzione legale relativa di cui al comma 2-bis del TUIR. Sostanzialmente, il soggetto italiano trasferito in paese non collaborativo rimane con residenza fiscale italiana fino al momento in cui non si trova di fronte la possibilità di poter concretamente fornire prova contraria. Di fatto, la prova contraria diviene possibile fornirla esclusivamente in sede accertativa. In buona sostanza, il soggetto espatriato, che si è anche iscritto all’AIRE, non perde la presunzione di residenza fiscale in Italia e l’opere di dover provare l’effettivo trasferimento di residenza rimane a suo carico.

Gli uffici dell’Agenzia delle Entrate che intervengono negli accertamenti sulla residenza fiscale dei contribuenti in questi casi non devono trovare elementi gravi precisi e concordanti sulla residenza fiscale del contribuente. Spetta, invece, al contribuente sottoposto a controllo dover fornire documentazione utile a dimostrare l’effettività del suo trasferimento all’estero, a verifica degli elementi indicati nell’art. 2 del TUIR (in particolare il concetto di domicilio e residenza ex art. 43 del c.c.). Come detto, le basi per questa documentazione riguardano l’effettivo radicamento nel paese estero per quanto riguarda:

  • Gli interessi familiari (la presenza radicata della famiglia all’estero);
  • Gli interessi economici (e quindi lavorativi) e patrimoniali.

Nella maggior parte dei casi il contribuente si trova sottoposto ad un periodo di incertezza, infatti, fino a quando non arriverà l’accertamento fiscale (sicuramente non prevedibile nei tempi), per lui rimarrà l’incertezza legata ad una possibile riqualificazione di residenza fiscale in Italia nel caso in cui la documentazione da lui prodotta non venga considerata sufficiente da parte degli uffici verificatori. Questa situazione di fatto sicuramente scoraggia (ed è questa la ratio della norma) ad effettuare trasferimenti di residenza fiscale in paesi non collaborativi, in quanto, di fatto spesso si tratta di paesi a fiscalità privilegiata.

Il problema del mancato aggiornamento della lista dei paesi non collaborativi

Quando detto sinora trova sicuramente riscontro nella ratio della norma, volta a disincentivare comportamenti fraudolenti del contribuente che potrebbe trasferirsi in paese a fiscalità privilegiata con il solo scopo di evadere imposte in Italia. Tuttavia, dobbiamo dire che la lista dei paesi non collaborativi utilizzata anche dall’Agenzia delle Entrate per l’invio delle lettere ci compliance sulle attività finanziarie estere non dichiarate (in paesi black list), da qualche anno non è oggetto di aggiornamenti.

L’unica variazione di rilievo da evidenziare riguarda la Svizzera. Paese che ormai da anni è divenuto collaborativo, sia per lo scambio di informazioni, sia per aver ormai abdicato alla possibilità di ospitare conti bancari cifrati. Tale Paese, infatti, a partire dal 2024 è uscito dalla lista per diventare a tutti gli effetti collaborativo. Per approfondire: “Svizzera fuori dalla black list: conseguenze“.

Il fascicolo probatorio del contribuente per la residenza fiscale

Stante quanto detto sinora, per dimostrare l’effettività del trasferimento della residenza, è necessario che il soggetto espatriato vada ad anticipare la costituzione della prova di residenza. Si tratta di anticipare gli elementi documentali e fattuali, richiesti per la dimostrazione, di cui all’art. 2, comma 2-bis del TUIR, dell’effettività del trasferimento di residenza all’estero in paese non collaborativo.

Sul punto occorre affermare che non sussiste alcun condizionamento in merito agli strumenti con cui attestare l’effettività del trasferimento di residenza. Resta ferma soltanto l’esclusione del giuramento e della prova testimoniale. Questo significa, indirettamente che la prova che l’espatriato deve raccogliere è sostanzialmente quella di natura documentale.

Si deve tenere in considerazione che l’Ufficio accertatore è obbligato ad effettuare una complessiva considerazione della posizione del contribuente da effettuare alla luce delle prove da questo fornite. Si tratterà quindi di una valutazione globale.

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In ordine alla prova che l’espatriato può fornire il legislatore non ha posto quindi alcun limite. Viene lasciata, dunque, la più ampia possibilità di difesa. Per questo motivo, quindi, è opportuno catalogare in maniera ordinata, possibilmente in ordine cronologico, la maggior massa di documentazione possibile atta a fornire la prova. Infatti, quest’ultima accortezza permette il controllo di un requisito fondamentale, quale è quello temporale, per avvalorare la non fittizietà del cambio di residenza.

Tra le due forme di prova documentale è possibile utilizzare anche l’atto pubblico. Tuttavia, la prova che molto spesso da evidenza dell’effettivo trasferimento è la scrittura privata. Quindi, il ragionamento che l’Ufficio si troverà a svolgere è necessariamente di tipo presuntivo.

Costruzione del fascicolo probatorio dell’espatriato

Perciò, nella precostituzione del fascicolo sarà utile fare molta attenzione a che i documenti contengano elementi quanto più graviprecisi e concordanti ai fini della prova che si vuole fornire. Elementi che ad un esame complessivo la massa documentale rendano la situazione ivi documentata quanto più prossima all’incontrovertibile. Da precisare che la prova della residenza deve comprendere:

  • Sia il fatto oggettivo della stabile permanenza in quel luogo,
  • Sia l’elemento oggettivo della volontà di rimanervi.

Questi elementi devono estrinsecandosi in fatti univoci che evidenziano tale intenzione di stabilire la propria residenza in uno Stato e di volervi restare in modo stabile. Deve essere evidenziato, sul punto, che affinché sussista il requisito dell’abitualità della dimora, non è necessaria la continuità o la sua definitività. Questo significa che la residenza non viene meno per assenze più o meno prolungate dovute ad esigenze di vita, studio, lavoro, etc. Questo significa che è fondamentale la volontà di ritornare nell’abitazione di residenza ogni qualvolta è possibile, dimostrando l’intenzione di ivi mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali (c.d. “centro degli interessi vitali“).

Centro degli interessi vitali

Il concetto di centro degli affari e degli interessi, riscontrabile nell’art. 43, co. 1 c.c. e nel paragrafo 4 del modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni assume importanza dirimente nell’individuazione della residenza fiscale di un contribuente. Con questo concetto si vuole intendere una situazione complessiva, costituita dai principali rapporti di natura:

  • Familiare, ma anche morale e sociale;
  • Patrimoniale ed economica.

In particolare, si tratta di tutti quegli elementi che direttamente o indirettamente evidenziano la presenza in un certo luogo di un complesso di rapporti di carattere familiare, patrimoniale ed economico della persona.

Questa interpretazione è stata recepita dall’Amministrazione finanziaria. La stessa riferendosi al caso di un soggetto iscritto all’AIRE ed esercente attività di lavoro autonomo all’estero, ha affermato che la residenza fiscale in Italia si concretizza qualora:

la famiglia dell’interessato abbia mantenuto la dimora in Italia durante l’attività lavorativa all’estero

Circolare del 02/12/1997 n. 304 – Min. Finanze – Dip. Entrate Accertamento

o, comunque, nel caso in cui

emergano atti o fatti tali da indurre a ritenere che il soggetto ha quivi mantenuto il centro dei suoi affari ed interessi

Circolare del 02/12/1997 n. 304 – Min. Finanze – Dip. Entrate Accertamento

Devono, in definitiva essere considerati fiscalmente residenti in Italia i soggetti che, pur avendo trasferito la propria residenza all’estero e svolgendo la propria attività fuori dal territorio nazionale, mantengano, il centro dei propri interessi familiari e sociali in Italia. Tutti e tre i requisiti ex articolo 2, comma 2, del TUIR devono risultare combinati con l’elemento temporale che è integrato dal perdurare delle situazioni giuridiche “per la maggior parte del periodo d’imposta” (183 giorni nell’arco di un anno solare, che diventano 184 qualora l’anno fosse bisestile).

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Come hai avuto modo di vedere il trasferimento di residenza fiscale in un paese a fiscalità privilegiata comporta una serie di oneri a carico del soggetto espatriato. La predisposizione del fascicolo documentale da alimentare di anno in anno è sicuramente il consiglio migliore che si possa dare a chi si appresta ad un trasferimento di residenza di questo tipo.

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Naturalmente, occorre mettere in conto che un’accertamento fiscale sulla residenza può avvenire nell’arco di tutto il periodo di espatrio, tenendo in considerazione gli ordinari termini di accertamento per le imposte sui redditi (per approfondire: “Termini di accertamento delle imposte sui redditi“). Oltre a questi aspetti occorre anche tenere in considerazione che l’Agenzia delle Entrate, quando avvia un’accertamento di questo tipo, sicuramente lungo e per lei dispendioso si risorse lo fa verso situazioni che ritiene a forte rischio evasione. Per questo motivo occorre prepararsi in anticipo ad un possibile futuro accertamento.

Se hai letto questo articolo e ti stai rendendo conto che necessiti dell’analisi della tua situazione personale, ti invito a contattarci attraverso il form di cui al link seguente. Riceverai il preventivo per una consulenza personalizzata in grado di risolvere i tuoi dubbi sull’argomento. Soltanto in questo modo, infatti, potrai essere sicuro di evitare di commettere errori, che in futuro possono esserti contestati e quindi sanzionati.



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