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L’ottava sezione del carcere di Regina Coeli, a Roma, è quella in cui vengono recluse persone molto diverse tra loro ma che sono accomunate tutte dall’essere “persone protette”, nella terminologia carceraria, si tratta di ex appartenenti alle forze dell’ordine che hanno commesso reati, collaboratori di giustizia, persone transengender, infine, sex offender, cioè autori di reati di natura sessuale.
«Staticamente, è una parte del penitenziario in cui non avvengono proteste, questo tipo di episodi sono molto rari», spiega a Domani, Valentina Calderone, Garante dei diritti delle persone private delle libertà del comune di Roma. I fatti a cui Calderone si riferisce sono accaduti due sere fa, quando dal lungotevere erano visibili il fumo e le fiamme, e gli abitanti delle case poco distanti da via della Lungara dove ha sede il “carcere dei tre scalini”, hanno dato l’allarme alla polizia.
Le cause
La protesta dei ristretti è scattata intorno alle ore 22, quando il tetto già pericolante dell’edificio è stato in parte sfondato e alcuni detenuti hanno lanciato alcune tegole in strada. Calderone racconta: «Non mi hanno fatta entrare nelle sezioni di Regina Coeli, nonostante la mia insistenza sono dovuta rimanere fuori dalla prima rotonda. Mi è stato chiesto di andarmene, più di una volta».
Così, la Garante ha potuto soltanto immaginare ciò che stava accadendo all’interno, mentre medici e infermieri entravano e gli agenti della polizia antisommossa uscivano, contemporaneamente, con i caschi abbassati. «Non mi è piaciuto assistere a quelle scene da fuori, seduta su di uno scalino, al margine di qualcosa che non ho potuto vedere, ma percepire solo in minima parte».
Continua Calderone: «Dal punto di vista strutturale la situazione è molto seria, l’odore di fumo si sentiva ancora il giorno dopo la protesta, la luce è tornata soltanto oggi, tanto che i medici in un primo momento hanno dovuto visitare i detenuti con la torcia». E sulle probabili cause delle proteste, aggiunge: «È sempre complicato trovarne una soltanto, qualunque sia stata l’origine, l’effettiva miccia, l’innesco, di certo dobbiamo considerare che questi fatti sono accaduti in un contesto come quello di Regina Coeli dove la rabbia e la frustrazione delle persone recluse è tantissima. A questo si deve aggiungere il sovraffollamento e la condizione strutturale dell’edificio», conclude.
Gli appelli
Alle parole della Garante fanno eco quelle dei sindacati della polizia penitenziaria che da mesi lanciano l’allarme sull’intera gestione del sistema carcerario italiano, denunciando anche le carenze nell’assistenza sanitaria e psichiatrica.
E quelle del sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, che, a margine della visita di Ferragosto proprio nel penitenziario trasteverino, si era appellato al governo Meloni «perché non è possibile che nella capitale d’Italia ci sia un istituto con quasi il doppio di detenuti rispetto alla capienza e con un terzo in meno di polizia penitenziaria. Servono misure per le pene alternative che evitino l’abuso della detenzione, situazioni dignitose, e percorsi di reinserimento nella società», aveva ribadito il sindaco.
Suicidi record
Secondo i dati del centro studi “Ristretti Orizzonti” di Padova, Regina Coeli è uno dei penitenziari più sovraffollati d’Italia, ma anche quello in cui avvengono più suicidi. Negli ultimi cinque anni si sono tolte la vita quindici persone qui dentro. Una media di tre all’anno, un dato tristemente rispettato anche per il 2024.
Soltanto qualche giorno fa, infatti, ha scelto di togliersi la vita la terza persona da gennaio a oggi. Anche lui, come gli altri due reclusi, si trovava nella settima sezione, dove si affollano, allo stesso tempo, detenuti in transito e in ingresso, in condizioni di isolamento sanitario e anche quelli del “disciplinare”.
Così, le celle di questa sezione non si aprono mai, quasi come se quei detenuti fossero al 41-bis. Tutto il giorno a non far nulla, reclusi in spazi che l’osservatorio di Antigone ha descritto così: «Le celle sono piccolissime e ospitano due o tre persone su un unico letto a castello. Il wc e il lavandino si trovano in una piccola stanza adiacente senza intimità. In questi spazi così ristretti, le persone trascorrono 23 ore al giorno. Le condizioni igienico sanitarie della sezione sono pessime».
Non solo Regina Coeli
La situazione del carcere di via Lungara è così drammatica che paragoni con quello che accade in altri istituti capitolini non reggono. Basti pensare che qui la maggior parte degli spazi ricreativi sono stati trasformati in celle, a causa del sovraffollamento della struttura. Nella relazione annuale presentata al luglio scorso dalla Garante di Roma, si fa riferimento al fatto che nel 2023, presso gli istituti penitenziari di Roma, è stato registrato un totale di 597 eventi critici, «intesi come atti che mettono a rischio la propria o l’altrui incolumità e, più in generale, la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari».
Si legge ancora: «Di questi, la maggior parte sono stati atti di autolesionismo, in totale 506, seguiti da 74 aggressioni al personale penitenziario o sanitario, da quattro sommosse e rivolte e, purtroppo, da quattro suicidi e una morte per cause ancora da accertare», mentre sono stati registrati anche otto casi di decessi per cause naturali.
È una fotografia della disperazione, su cui di certo incide il forte sovraffollamento delle strutture. Secondo i dati del ministero della Giustizia, infatti, al 30 giugno 2024, risultavano: «A Rebibbia Femminile, 358 presenze per una capienza regolamentare di 272 posti; a Rebibbia Nuovo Complesso, 1556 presenze per una capienza regolamentare di 1170 posti; a Rebibbia Casa, 81 presenze per una capienza regolamentare di 172 posti; a Rebibbia Reclusione, 286 presenze per una capienza regolamentare di 445 posti».
A Regina Coeli, invece, tre mesi fa il carcere conteneva 1129 persone, a fronte di una capienza regolare di 628. Oggi la situazione è addirittura peggiorata, con 1170 detenuti a contendersi un po’ di spazio, di luce e di aria.
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