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Abitualità della prestazione nel lavoro autonomo #adessonews

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L’abitualità si riferisce alla regolarità e continuità con cui un’attività viene svolta. Nel contesto del lavoro autonomo, l’abitualità è uno dei criteri utilizzati per distinguere tra chi svolge un’attività occasionale e chi, invece, svolge un’attività professionale o d’impresa. Questa distinzione ha importanti ripercussioni fiscali.

Se un’attività viene svolta in modo abituale, ciò implica che il soggetto che la svolge è tenuto al rispetto di una serie di obbligazioni tributarie, come aprire partita IVA, la tenuta delle scritture contabili, la presentazione delle dichiarazioni fiscali, il pagamento delle imposte e dei contributi previdenziali. Al contrario, chi svolge un’attività in modo non abituale, quindi occasionale, potrebbe beneficiare di un regime fiscale più favorevole o essere esentato da alcune di queste obbligazioni.

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La distinzione tra attività svolte in modo abituale e quelle svolte in modo occasionale è da sempre al centro del dibattito tributario italiano. Questa distinzione, apparentemente semplice, nasconde in realtà una serie di sfumature e complessità che possono avere significative ripercussioni fiscali per chi svolge un’attività di lavoro autonomo. Ma, cosa si intende esattamente per abitualità? E quali sono le implicazioni fiscali legate a questo concetto?

Le prestazioni di lavoro autonomo

La prestazione di lavoro autonomo è quell’attività lavorativa svolta da un individuo (professionista o lavoratore autonomo) che opera in totale indipendenza, senza essere legato da un rapporto di subordinazione con un datore di lavoro.

A differenza del lavoro dipendente, il lavoratore autonomo organizza la propria attività in maniera autonoma, decidendo autonomamente come, quando e dove svolgere il proprio lavoro. La remunerazione percepita non è un salario, ma un corrispettivo per un servizio o una prestazione fornita. Questa tipologia di lavoro può riguardare sia le professioni regolamentate (come avvocati, commercialisti, notai, medici, geometri, etc) sia attività artigianali, commerciali o agricole svolte in maniera autonoma. Dal punto di vista fiscale, il reddito derivante da prestazione di lavoro autonomo è soggetto a specifiche regole di tassazione, diverse da quelle previste per i lavoratori dipendenti.

La prestazione di lavoro autonomo si distingue dal lavoro subordinato principalmente per l’assenza di vincoli gerarchici e di subordinazione, per l’autonomia decisionale e organizzativa e per la natura del compenso percepito. Inoltre, il lavoratore autonomo si assume generalmente i rischi legati all’attività svolta e non gode delle tutele tipiche del lavoro dipendente, come la tutela in caso di licenziamento, malattia o infortunio sul lavoro.

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Tanto per fare un semplice esempio un consulente informatico che esegue un corso legato ad un software, sta svolgendo un’attività professionale. Il suo intelletto prevale su tutti gli altri aspetti della prestazione. Al contrario, se lo stesso consulente, realizza un sito web e lo pubblicizza sui portali per la sua messa in vendita, sta svolgendo un’attività imprenditoriale. In questo caso l’organizzazione ed i mezzi impiegati prevalgono sull’aspetto intellettuale.

Capire la differenza tra un’attività di lavoro autonomo ed una imprenditoriale è molto importante da un punto di vista fiscale. Le attività professionali, possono essere svolte dai soggetti anche in forma non professionale. Mentre le attività imprenditoriali devono essere sempre svolte professionalmente. Quindi con partita IVA e tutti gli adempimenti fiscali, amministrativi e previdenziali conseguenti ed obbligatori. Di seguito andiamo ad analizzare le attività di lavoro autonomo, per capire quando possono essere svolte in modo non professionale.

Abitualità delle prestazioni di lavoro autonomo

Fatta questa premessa è necessario andare ad analizzare quando un’attività di lavoro autonomo può essere svolta in modo non professionale, quindi, senza partita IVA. A questo proposito è utile effettuare una distinzione tra soggetti che effettuano prestazioni in quanto iscritti ad albi, elenchi, ruoli o registri professionali e imprenditoriali in genere, rispetto ai non iscritti.

Nel primo caso, per i soggetti iscritti ad Albi è logico ritenere, che si è sempre in presenza di attività professionale di tipo abituale. Un’attività professionale è sempre abituale quando, congiuntamente, e indipendentemente dalla frequenza delle prestazioni:

  • Il lavoratore autonomo è iscritto ad albi, elenchi, ruoli o registri;
  • Il lavoratore autonomo svolge operazioni, non importa il numero e la frequenza, rientranti tra quelle del proprio ambito di attività.

Con questi requisiti un professionista opera in modo professionale per definizione. Quindi, deve operare obbligatoriamente con partita IVA. Quando, invece, il professionista anche se iscritto in albi ruoli od elenchi svolge un’attività professionale fuori dalla sua attività abituale in ambiti del tutto diversi, può usufruire della disciplina riguardante le prestazioni di lavoro autonomo occasionale.

Iscrizione ad albi, elenchi, ruoli o registri per i professionisti

L’iscrizione del professionista in albi, elenchi, ruoli o registri rappresenta un requisito indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale. Come detto, un professionista iscritto ad un albo professionale può esercitare la sua attività solo in modo professionale, quindi, solo con partita IVA. L’apertura della partita IV rappresenta un elemento indispensabile per tutti quei professionisti come:

  • Avvocati;
  • Medici;
  • Ingegneri;
  • Architetti;
  • Biologi;
  • Psicologi;
  • Notai;
  • Commercialisti;
  • Giornalisti, etc.

Per questi soggetti l’Albo professionale è indispensabile per esercitare la propria attività. Oltre all’iscrizione in un albo diventa diventa importante verificare il programma di attività del professionista quale è dato percepire da una pluralità di elementi, come per esempio, avvio di contatti lavorativi, acquisizione della disponibilità di locali.

In sostanza, la semplice iscrizione in albi ruoli od elenchi obbliga il professionista ad aprirsi una partita IVA. Essa, tuttavia, integra pur sempre un elemento sintomatico che, lungi dal costituire il fatto noto su cui poter unicamente fondare una presunzione di abitualità, potrebbe rappresentare un indizio grave e preciso ai sensi dell’articolo 2729 del codice civile. Deve essere evidenziato che, per alcuni albi professionali è possibile esercitare l’attività anche sotto forma di prestazione occasionale, quando ne ricorrono i presupposti (es. l’albo dei giornalisti lo prevede).

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Attività abituale non dettata dal numero di prestazioni o dal numero di committenti

Per stabilire l’abitualità della prestazione professionale, non si vuole certo assegnare un valore eccessivo a elementi di carattere formale. Quello che voglio dire è che l’effettuazione anche di una sola operazione, in presenza delle accennate iscrizioni, potrebbe integrare l’esercizio di una abituale attività economica.

Questo avviene in tutti quei casi in cui il soggetto dimostri in modo programmatico di voler esercitare un’attività professionale. Magari perché ha posto in essere un minimum di atti preparatori allo svolgimento di un’attività auto-organizzata e abituale.

Per essere quanto più concreti possibile pensa al caso di un giovane avvocato che ha aperto un suo studio e che nel primo anno ha avuto un solo cliente. Ebbene, in questo caso, anche con una sola prestazione l’attività è comunque abituale per gli atti preparatori, ovvero l’ufficio in cui lavora e si appresta ad accogliere la futura clientela.

Il contribuente, tuttavia, potrebbe anche essere in grado di provare il contrario. Tali, prove devono essere concrete. Esse non devono semplicemente basarsi sul numero limitato di operazioni poste in essere. Il contribuente deve dimostrare, nel caso, di non avere posto in essere atti che portino ad avere una preparazione di attività abituale di lavoro autonomo.

Solo in questo caso la prestazione qualificata dall’interessato come lavoro autonomo occasionale. Bisogna però prestare molta attenzione. Tale previsione potrebbe in realtà essere l’unica non occultabile in mezzo a un gran numero di operazioni “in nero“. Per questo motivo l’Agenzia delle Entrate effettua questo tipo di controlli con molta cura, e spesso anche con l’ausilio di indagini finanziarie, per scovare eventuali professionisti che operano fuori dalla più totale legalità.

Eccezioni all’abitualità per alcuni albi professionali

Prima di passare all’analisi dell’abitualità della prestazione professionale, voglio indicarti alcune eccezioni. Alcuni albi professionali prevedono che il professionista possa esercitare l’attività senza l’obbligo di partita IVA. Classico caso è quello dei giornalisti. Questi professionisti, se non collaborano stabilmente come professionisti con una testata giornalistica possono operare con prestazione occasionale. Questa facoltà è espressamente prevista dall’Ordine dei giornalisti.

Svolgimento di altre attività per cui non c’è iscrizione ad Albi

Quando siamo, invece, in presenza di attività per le quali non sia prescritto l’obbligo di iscrizione ad Albi professionali le cose cambiano. In queste fattispecie stabilire in quali casi l’attività di lavoro autonomo sia o meno abituale è problematico. Voglio dire che, ad oggi, non vi sono regole qualitative o parametri quantitativi da un punto di vista fiscale per individuare in modo netto una attività abituale da una occasionale.

Nel nostro sistema tributario l’unico parametro attualmente esistente è quello contributivo. Questo parametro, tuttavia, non riguarda l’aspetto fiscale, quindi, l’obbligo o meno di dotarsi di partita IVA. Tale parametro è valido esclusivamente per stabilire se il lavoratore autonomo occasionale debba iscriversi o meno alla Gestione separata Inps.

Quello che voglio dire è che potrebbe accadere che un soggetto svolga una unica prestazione del valore superiore di 5.000 euro senza che vi sia obbligo di partita IVA. Tuttavia, potrebbe anche accadere il contrario, ovvero che un soggetto svolga varie prestazioni abituali, per un importo annuo inferiore a 5.000 euro. In questo caso vi sarebbe obbligo di operare professionalmente, anche se non vi sono obblighi previdenziali.

Rimangono pertanto valide le puntualizzazioni fino a ora effettuate dall’Amministrazione finanziaria. A partire da quella, ribadita in più occasioni, che, essendo incerta la distinzione tra abitualità e occasionalità, la valutazione circa l’esistenza dell’uno o dell’altro elemento deve essere fatta caso per caso sulla base delle fattispecie concrete che di volta in volta vengono in considerazione. Non esistendo, cioè, soluzioni a priori.

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Abitualità e professionalità

Il termine abituale nel contesto delle regole fiscali è esclusivamente abbinato al termine della professionalità a prescindere dall’organizzazione. Quest’ultima, infatti, ha rilevanza per stabilire se le abituali prestazioni di servizi, non rientranti nell’articolo 2195 del c.c. e, quindi, intrinsecamente autonome sul piano civile, siano di impresa o di lavoro autonomo sul piano fiscale.

L’elemento dell’abitualità, abbinato a quello della professionalità, starebbe a delimitare perciò una attività caratterizzata da ripetitività, regolarità, stabilità e sistematicità di comportamenti. Naturalmente, l’abitualità dell’attività di lavoro autonomo che non significa esclusività, è perfettamente compatibile con il parallelo esercizio di un’attività di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa o di socio di società in genere.

Questo in quanto anche un’attività autonoma effettuata per poche ore al giorno o saltuariamente e, al limite, anche nei confronti di un solo committente, ma con costanza nel tempo, dando quindi l’idea di rappresentare per il prestatore il suo modo ordinario di esercitare la propria attività di lavoro indipendente, e anche senza una particolare organizzazione e anche se poco remunerata, realizzano il presupposto soggettivo per l’apertura della partita Iva, dovuto a presenza appunto dell’abitualità.

Conclusioni e consulenza fiscale

L’abitualità nel lavoro autonomo rappresenta un concetto fondamentale nel panorama fiscale italiano, fungendo da discriminante tra chi svolge un’attività professionale o d’impresa e chi, invece, opera in maniera occasionale. La sua corretta interpretazione è cruciale per determinare le obbligazioni tributarie e previdenziali del lavoratore, influenzando direttamente il regime fiscale applicabile e le relative agevolazioni.

La distinzione tra attività abituale e occasionale non è sempre di immediata comprensione, data la sua natura sfumata e le molteplici variabili in gioco. Tuttavia, è essenziale affrontare questa tematica con attenzione e consapevolezza, poiché una errata qualificazione può portare a sanzioni e contenziosi con l’amministrazione fiscale.

In un contesto in cui la flessibilità lavorativa e le nuove forme di impiego diventano sempre più diffuse, è fondamentale che professionisti e lavoratori autonomi siano ben informati sulle implicazioni fiscali e legali dell’abitualità. Solo attraverso una chiara comprensione di questo concetto si potrà operare in piena conformità con la normativa vigente, garantendo una corretta gestione del proprio status professionale e delle relative obbligazioni tributarie.

In questo articolo abbiamo cercato di fornirti alcune indicazioni utili per capire se e quando stai svolgendo un’attività professionale di tipo abituale. Se ti trovi in questa fattispecie non puoi fare altro che operare con partita IVA, in modo professionale. Altrimenti puoi proseguire utilizzando le prestazioni di lavoro autonomo occasionale.

Qualsiasi sia la situazione in cui ti trovi è di fondamentale importanza che tu ti consulti con un dottore Commercialista esperto. Ricorda che ogni situazione è diversa dalle altre e che non è mai possibile generalizzare. Per questo è opportuno che sia un esperto a consigliarti su cosa è opportuno effettuare. Se hai dei dubbi e desideri ricevere una consulenza personalizzata sulla tua situazione, contattami!



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